ZYGMUNT BAUMAN, IL TEORICO DELLA SOCIETÀ LIQUIDA

Il 9 Gennaio si è spento a Leeds, all’età di 92 anni, Zygmunt Bauman il filosofo e sociologo polacco della società contemporanea da lui stigmatizzata come società liquida, uno degli illustri saggi del ‘900, nato a Poznan nel 1925, di origine ebraica, Bauman si rifugiò in Unione Sovietica dopo l’invasione nazista; tornato a Varsavia, si è poi trasferito in Gran Bretagna, dove ha insegnato, appunto, sociologia a Leeds (dal 1971 al 1990).

Zygmunt Bauman, nato da genitori ebrei a Poznan nel 1925, a 14 anni fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all’inizio della II guerra mondiale, successivamente, divenuto comunista, si arruolò in una unità militare sovietica. Dopo la guerra, iniziò a studiare sociologia all’Università di Varsavia. Durante una permanenza alla London School of Economics, preparò la sua maggiore dissertazione sul socialismo britannico pubblicata nel 1959, prima marxista (che da leninista si avvicina poi a Gramsci e Simmel) divenne quindi anticomunista, tanto da perdere la propria cattedra all’università di Varsavia, in un’epoca in cui l’antisemitismo torna come di moda nell’Europa dell’Est, così da essere costretto ad abbandonare nel 1968 il proprio Paese, andando a insegnare in Israele, a Tel Aviv, prima e infine in Inghilterra a Leeds, dove viveva tutt’ora avendo preso la nazionalità inglese.

Il filosofo polacco è importante per il suo studio sul passaggio dalla cultura moderna a quella postmoderna (Modernità liquida, ed. Laterza). Tra le opere successive tradotte in italiano (Amore liquido e poi Sulla fragilità dei legami affettivi, ed. Laterza; Vita liquida, ed. Laterza; La solitudine del cittadino globale, ed. Feltrinelli; La società dell’incertezza, ed. Il Mulino; Stato di crisi, ed. Einaudi; Per tutti i gusti – La cultura nell’età dei consumi, ed. Laterza; Stranieri alle porte, ed. Laterza.

In questo contesto di precarietà e di legami che si dissolvono, sta crescendo la necessità di qualcosa di solido – aveva spiegato Bauman – che può essere ricercato nella comunità”.

Sarebbe proprio questo desiderio la ragione del successo dei social network: “E’ un mondo dove c’è la necessità di partecipazione ma al tempo stesso c’è il desiderio di autonomia da parte di chi frequenta il social network, e al contempo c’è la necessità di crearsi un’identità e di ottenere un riconoscimento”. La paura di oggi? Per l’autore di La paura liquida è quella di ‘non essere notati e si confonde la vita su Facebook con quella vera’. “Ogni volta che si usa il cellulare – aveva detto – quell’azione viene registrata per sempre, c’e’ qualcuno da qualche parte che sa esattamente dove vi trovate, sa chi siete, dove siete. E la stessa cosa avviene quando si usano le carte di credito. C’è qualcuno che segue le vostre attività quotidiane e questo diventa di enorme interesse a livello di potere politico ed economico. Zuckerberg guadagna soldi proprio grazie a queste situazioni. Ma a differenza del protagonista orwelliano, oggi non abbiamo paura di esser visti troppo, abbiamo paura di non essere notati, abbiamo paura della solitudine, il virus che mina e compromette il senso della vita e’ l’esclusione e l’abbandono. E su questo traggono vantaggio i social network”.

Con questa idea Bauman illustra l’assenza di qualunque riferimento “solido” per l’uomo di oggi, più in generale, sostiene: “siamo in una fase di interregno, di passaggio, dove tutto è ancora incerto”.

La “Società liquida” inizia a delinearsi con quella corrente detta postmodernismo, termine ombrello sotto cui si affollano diversi fenomeni, dall’architettura alla filosofia e alla letteratura, che descrive la crisi delle cd. “grandi narrazioni”, le ideologie, che ritenevano di poter sovrapporre al mondo un modello di ordine e in vari modi si è intersecato con le pulsioni nichilistiche e, tra le caratteristiche di questo presente, c’è anche la crisi dello Stato (quale libertà decisionale rimane agli stati nazionali di fronte ai poteri delle grandi forze sovrannazionali?). Scompare un’entità, lo Stato appunto, che garantiva ai singoli la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo, e con la sua crisi ecco che si sono profilate la crisi delle ideologie, e dunque dei partiti, e in generale di ogni appello a una comunità di valori che permetteva al singolo di sentirsi parte di qualcosa che ne interpretava i bisogni. Scompare un’entità che garantiva ai singoli la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo, e con la sua crisi ecco che si sono profilate la crisi delle ideologie, e dunque dei partiti, e in generale di ogni appello a una comunità di valori che permetteva al singolo di sentirsi parte di qualcosa che ne interpretava i bisogni. Bauman osserva come, dopo la fine delle grandi ideologie e fedi monolitiche, finita la fede di una salvezza proveniente dall’alto, dallo stato o dalla rivoluzione, sia tipico di questa sorta di interregno il movimento d’indignazione. Questi movimenti sanno che cosa non vogliono ma non che cosa vogliono, ce cita l’esempio dei black bloc, che non sono etichettabili, come poteva avvenire con gli anarchici, coi fascisti, con le brigate rosse. Essi agiscono, ma nessuno sa più quando e in quale direzione, neppure loro.

In questa epoca di liquefazione, l’Uomo, che già ridotto “a una dimensione” a metà anni Sessanta secondo la definizione di Herbert Marcuse, oggi si sta sfaldando, sciogliendo per lo stress e le incertezze che un mondo segnato dal consumismo ossessivo e in crisi economica e sociale permanente, costringe a una sorta di corsa senza fine per non restare indietro per non perdere la propria posizione, cercando di adeguarsi continuamente ad mondo in cui non si hanno più punti di riferimento certi, in cui i valori sono in crisi e alle sicurezze di un tempo si sono sostituite incertezze e timori per il futuro personale e sociale e che porta soprattutto alla fragilità dei legami affettivi nel mondo odierno.

Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo “soggettivismo” ha minato le basi della modernità, rendendo la società una palude di sabbie mobili in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in questa sorta di liquidità. Si perde persino la certezza del diritto e non solo i singoli, ma la società stessa vive in un continuo processo di precarizzazione e l’unico sfogo per l’individuo senza punti di riferimento è l’apparire a tutti costi ed il consumismo come valori. Però si tratta di un consumismo ossessivo, neppure appagativo o possessivo, ma che rende subito obsoleti gli oggetti consumati, e il singolo passa da un consumo all’altro in una sorta di bulimia senza scopo razionale o pratico, in una rottamazione continua di oggetti usati da poco per riutilizzarne altri per altrettanto poco.

In questa prospettiva si percepiscono quelli che Bauman chiama “danni collaterali”, derivati direttamente dalle diseguaglianze sociali, da cui, su scala globale, nascono anche la violenza e il terrorismo, in un mondo in cui, le “reti” si sono sostituite alle “strutture”, i “cittadini” si sono declassati in “clienti” e la “durata” è stata sostituita dalla “istantaneità”, così che la gente si sente costretta a fingere e reinventarsi di continuo in nome di una libertà assolutamente illusoria. Siamo insomma come passeggeri impauriti su un aereo con la cabina di comando vuota e inserito solo il pilota automatico che non dà informazioni su dove stia andando, ed il monito che oggi ci lascia Bauman, è che dobbiamo arrivare a disinserirlo e prenderci nuovamente le nostre responsabilità.

È diventata una società in cui la produzione non conta molto, mentre il consumo è (quasi) tutto e il consumo è per sua natura instabile e cangiante. Una società di consumatori è una società liquida perché tutte le identità possono essere come non essere, tutte le scelte potrebbero essere fatte diversamente, tutte le appartenenze – classe, genere, famiglia, fede, nazione, luogo – ingenerano fedeltà o tradimenti egualmente arbitrari. Il compagno fraterno di oggi può essere il concorrente di domani, e il carnefice del giorno dopo (e noi lo stesso per lui), ormai viviamo in un mondo insicuro, che da un momento all’altro può dare troppo o troppo poco.

Questo mondo esplorato da Bauman è in fondo lo stesso in cui si è inverata la profezia marxiana che vuole il capitalismo come la condizione in cui tutto ciò che è solido e stabile si scioglie nell’aria, tutto ciò che è sacro viene profanato. Però mentre per Marx questo è un passaggio necessario ed auspicato per acquistare la coscienza di noi stessi, per Bauman invece è una condizione esistenziale che non ha alternative, quantomeno nel tempo storico attuale producendo una condizione di paura e incertezza che contribuisce a rendere la situazione contemporaneamente instabile e inevitabile.

Gli stessi movimenti collettivi (anche recenti), quando non rivendicano semplicemente la difesa di qualche privilegio o rendita di posizione, sono costretti a un ruolo puramente negativo, capaci solo di dire solo quello che non vogliono. L’unica via d’uscita, per Bauman, è quella di una moralità individuale che non può tuttavia più legittimarsi in riferimento ad una tradizione condivisa.

Bauman ha paragonato il concetto di modernità e post-modernità rispettivamente allo stato solido e a quello liquido della società. Nei suoi libri sostiene che l’incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. In particolare, egli lega tra loro concetti quali il consumismo e la creazione di rifiuti umani, la globalizzazione e l’industria della paura, lo smantellamento delle sicurezze e una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa, e così via.

L’esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l’essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano. Questa spietata critica alla mercificazione delle esistenze e all’omologazione planetaria si legge soprattutto in Vite di scarto, Dentro la globalizzazione e Homo consumens.

Secondo Bauman, l’omogeneizzarsi indica, relativamente ai rapporti tra i soggetti, un processo affine all’omologazione, all’assorbimento passivo dovuto ad usi e consuetudini, a modelli culturali e di condotta prevalenti in un dato contesto sociale. Oppure si può riferire anche a comportamenti o valori che aprioristicamente ed in maniera dogmatica vengono accettati e tramandati tra le generazioni di individui, senza alcuno spirito critico o alcuna capacità riflessiva, cui conseguirà inevitabilmente la spersonalizzazione e l’alienazione.

Per lui, nella modernità la morale è la regolazione coercitiva dell’agire sociale attraverso la proposta di valori o leggi universali a cui nessun uomo ragionevole (la razionalità è caratteristica della modernità) può sottrarsi. Non si può invece parlare della morale post-moderna, perché la fine delle “grandi narrazioni” del Novecento, cioè delle ideologie, ha reso impossibile la pretesa di verità assolute, e quindi ci possono essere tante morali.

Per Bauman, che amava ripetere “l’unico giudice è la mia coscienza”, la morale è un atto razionale individuale, ma che crea la società, che appunto nasce da una scelta etica individuale, da un atto etico che è solo opera mia e però crea un legame con gli altri: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali. L’atto morale è l’incontro con l’altro e il riconoscerlo come persona. Pertanto lui propone un tipo di morale che nasce come (ed è sostanzialmente) il consegnarsi totalmente dell’io al tu (ovvero di me all’altro). È un fatto assolutamente e totalmente individuale e libero. Poiché non può esistere un terzo che mi dice se la mia azione sia morale oppure no, e nella concreta pratica sociale questa libertà di donarsi è sempre dentro a certi vincoli e costruzioni dati da una struttura che è, appunto, la società.

L’impulso ad essere per l’altro, a donarsi all’altro, indipendentemente da come l’altro si atteggia nei suoi confronti non è razionale; per questo per Bauman la morale (originata da tale impulso) è del tutto irrazionale. L’origine della morale è sempre un atto individuale, implica necessariamente un io (è la mia decisione), mai un noi (non è un atto collettivo, né l’esito di un accordo, perché è sempre la scelta del singolo di atteggiarsi in un certo modo nei confronti dell’altro). Se non c’è l’io l’atto morale non c’è. La morale quindi è un atto del tutto individuale, ma crea la società. La società nasce da una scelta etica individuale, l’atto etico individuale va fatto da me e non da altri, e però crea un vincolo: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali. Per Bauman solitamente si incontra l’altro non come persona: secondo la terminologia in cui viene usato dall’interazionismo simbolico, per cui il concetto di persona è inteso nel senso di una maschera che ricopre un ruolo. L’identità di ogni individuo è la somma di tutti i ruoli che ricopre, per questo si parla solo di persone, cioè di attori che ricoprono ruoli. L’atto morale ci permette di incontrare l’altro non come persona/maschera, ma come volto, cioè nella sua vera identità e non nel ruolo. Con l’atto morale mi consegno a una debolezza assoluta (l’atto morale è l’antitesi del potere o della sua logica, che è forza) perché riconosco all’altro la possibilità di comandarmi, accetto di consegnarmi a lui.

Il paradosso della morale per Bauman è che essa da un lato crea disordine, dall’altro è necessaria come atto fondante della società (senza l’impulso di aprirsi all’altro non ci sarebbero le relazioni sociali). Tuttavia, essendo l’impulso della morale irrazionale e libero, è in antitesi all’ordine sociale, e pertanto la morale rischia di non avere molto spazio in una società sempre più complessa che ha bisogno di regole sempre più sofisticate.

Per superare questa fase storica della liquidità, l’unico modo è la consapevolezza di vivere in una società liquida che richiede nuovi strumenti di lotta. Ma il vero problema è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno e Bauman rimane per ora una voce solitaria ma assolutamente attualissima.

Roma, 31 Gennaio 2017

Marcello Grotta