TOLLERANZA ZERO

Giusta, opportuna, azzeccata l’espressione, quando la si rivolge contro le peggiori manifestazioni dell’umano agire.

Tolleranza zero contro il crimine, contro la violenza, contro la prevaricazione, contro la discriminazione, contro l’odio, contro le diseguaglianze e così via.

Purtroppo, però, pare che tale locuzione spesso ed in modo costante affolli gli animi di molti , quasi che la tolleranza sia divenuta una forma di conclamata debolezza, o peggio ancora, la palese avvisaglia dell’incapacità di sostenere le proprie idee, i propri punti di vista, le proprie posizioni.

Tolleranza zero insomma, sempre, comunque ed ad ogni costo.

Ed allora cosa voleva dire Voltaire quando, in buona sostanza, affermava con il vigore e l’autorevolezza delle sue idee “non sono d’accordo con le tue opinioni, ma sono pronto a battermi sino a dare la vita affinché tu possa esprimerle”?

Era un visionario, era un debole, non era pronto a lottare per le proprie convinzioni?

E che intendeva significare John Locke attraverso il suo scritto “A letter concerning Toleration”?

Era un sognatore o, peggio, un utopista senza speranza?

Non credo.

Forse sarebbe quanto mai opportuno ed urgente una profonda, intensa ed intelligente rimeditazione intorno a quelle poche parole.

Sin troppo di sovente mi tocca di assistere a confronti tra persone, in diversi e molteplici contesti, su disparate tematiche, dalle più serie ed impegnative a quelle che appaiono oggettivamene facete o poco più, in cui coloro che si confrontano danno vita ad attacchi sguaiati e personali, rivolti contro quelli con i quali interloquiscono sino a suscitare un vera e propria rissa.

Non di rado, assisto ad evidenti manifestazioni di fastidio che molti provano verso le opinioni altrui solo perché divergenti rispetto alle proprie.

Spesso noto nel dibattito, in fondo tra pari, la pervicace intenzione di evitare che tutti possano esprimere la propria opinione senza essere disturbati, interrotti, prevaricati o, addirittura, offesi.

Appare, troppo di sovente, in voga l’abitudine – attitudine ad affermare, urlare, imporre la propria tesi senza la minima disponibilità ad ascoltare cosa abbia da dire l’altro e se proprio questi riesce a conquistare uno spazio di interlocuzione, allora si assiste a critiche preconcette, o peggio, preconfezionate, critiche somministrate perché “bisogna” farlo. Polemiche, cioè, purchessia.

Sembra, insomma, che non si possa consentire, durante un confronto, alcun riconoscimento agli altri.

I quasi consueti e quotidiani raffronti tra politici, giornalisti, magistrati, professionisti, studiosi si riducono troppo spesso ad un agone senza regole, in cui coloro che sono chiamati a fungere da moderatori o da arbitri imparziali appaiono sempre maggiormente compiaciuti dinanzi all’ascesa dei toni e delle incontrollate e sbraitanti contrapposizioni, sebbene si profondano in inviti al dialogo.

Quanto sopra, se possibile, viene elevato a livelli oltremisura insopportabili nei “moderni ed attuali” ambiti afferenti a quegli spazi di pubblica frequentazione quali, al giorno d’oggi, sono da considerarsi i così detti social media.

Ebbene, proprio quell’apparente impersonalità, invisibilità e distanza, intesa anche nel senso fisico dell’accezione, sembra conferire a molti, troppi per la verità, una forma di immunità od ancor peggio di impunità. Tutto è permesso.

Garanzia questa, a volte più apparente che reale, che consente a costoro di sentirsi liberi di poter esprimere qualsiasi propria pulsione, ogni tipo di invettiva, ogni genere di denigrazione o diffamazione contro chi la pensa e/o si comporta diversamente da loro.

Quanto sopra, e ciò preoccupa se non addirittura spaventa, nel nome di una presunta “libertà di opinione, di pensiero, di espressione, di azione”.

Fa d’uopo, a questo punto, chiedersi cosa debba intendersi per libertà.

Per alcuni, probabilmente, questo valore imprescindibile che rappresenta la massima aspirazione di ogni essere umano e che variamente e minuziosamente viene definito dalle Carte Fondamentali di tutte le nazioni, rappresenta la facoltà di fare e di dire ciò che si vuole declinando ogni limite che, anzi, verrebbe interpretato come un condizionamento proprio di quella sconfinata libertà.

Eppure tutti gli esseri umani sono indistintamente titolari di quel diritto, quale loro naturale prerogativa.

Mi sovviene alla mente, dunque, il pensiero di Martin Luther King, che liberamente espresse allorquando sostenne “la mia libertà finisce laddove inizia la vostra”. Certamente tale frase si è prestata ad un numero notevole di interpretazioni, obiezioni, critiche ed addebiti di facile retorica.

Tuttavia, la forza del principio che tale frase ci consegna, al di là delle analisi linguistiche e

filosofiche, permane lucente e vigorosa.

Tutto sommato il Diritto, le Leggi sottendono proprio all’esigenza di delimitare i confini entro i quali sia garantita a chiunque la possibilità di estrinsecare la propria personalità, le proprie attitudini, le proprie aspirazioni, nel reciproco rispetto degli altri.

Per alcuni versi si potrebbe sostenere che quel principio sia da ritenersi addirittura “scontato”.

Purtroppo, però, non mi sembra sia così acquisito al comune sentire.

Ed allora, forse è il caso di ribadirlo con incisività, di insegnarlo, di inculcarlo perfino.

Le indimenticabili parole di Cervantes potranno incorniciare il concetto espresso dal Dott. King, “La libertà, Sancho, è uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono eguagliare: e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita”.

Perciò, se è vero che la libertà sia un bene tanto prezioso, è altrettanto vero che il suo valore vada preservato e non possa essere sminuito confondendolo con la facoltà di fare o dire ciò che più si crede, senza tenere nel minimo conto l’eguale diritto alla libertà di tutti gli altri.

Ma torniamo alle considerazioni attinenti al dilagare di atteggiamenti di insofferenza verso le posizioni altrui.

Non di rado tali comportamenti sono il frutto di una assenza, o scarsezza o ancora erroneità nei processi educativi relazionali, le cui ragioni o responsabilità sono variamente distribuite.

A tal proposito, una profonda riflessione ed un’adeguata considerazione meritano le parole di Nelson Mandela, il quale era profondamente persuaso che “l’educazione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo”. Come dargli torto ?

Non mi pare si possa negare che proprio i comportamenti privi di educazione al rispetto per gli altri rischino di minare sin dalle fondamenta il principio di libertà reciproca, limitandone l’estrinsecazione per coloro i quali non possano, o semplicemente non vogliano, piegarsi al perenne ed avvilente conflitto solo per esprimere i propri convincimenti.

Ritengo, a dire il vero, che la mancanza di rispetto e l’intolleranza, rappresentino inequivocabilmente il frutto amaro della paura, del pregiudizio, dello stereotipo e dello stigma personale e sociale.

Appare, allora, sempre più improcrastinabile l’esercizio del rispetto e della tolleranza verso gli altri e, coerentemente, verso se stessi.

Del resto, mutuando anche dalle parole di Michael Walzer, mi parrebbe esercitazione persino di irrazionalità quella di affannarsi a negare che “la tolleranza rappresenta un bene in quanto necessità, giacché l’alternativa ad essa sarebbe il conflitto perenne.”

La tolleranza, quindi.

Ovverosia: “l’ atteggiamento teorico e pratico di chi, in fatto di religione, politica, etica, scienza, arte, letteratura, rispetta le convinzioni altrui, anche se profondamente diverse da quelle cui egli aderisce, e non ne impedisce la pratica estrinsecazione, o di chi consente in altri, con indulgenza e comprensione, un comportamento che sia difforme o addirittura contrastante ai suoi principi, alle sue esigenze, ai suoi desideri”( Vocabolario della lingua italiana Treccani).

Proprio la tolleranza cui alludeva Voltaire nel suo autorevole scritto la cui conclusione, in sostanza, è un auspicio affinché essa permei la mente e l’animo degli uomini. Allora come oggi.

Orbene, non mi sembra possa negarsi che sino a quando si possa scegliere, dovremmo poter stare in un Paese dove la libertà, anche la libertà politica, la tolleranza e l’uguaglianza di tutti siano la regola.

La libertà politica, sempre ed in ogni caso, implica la libertà di esprimere le proprie opinioni a voce e per iscritto; la tolleranza implica il rispetto per ogni singola opinione individuale.

L’auspicio conclusivo, pertanto, che rappresenta più di una speranza è quello di giungere ad assistere a confronti, anche dialettici, a scambi di opinioni, a contrapposizioni tra idee e contenuti, progetti e programmi, visioni e posizioni divergenti, ma tutto ciò nella reciproca considerazione, legittimazione, educazione (se non garbo) e rispetto tra le parti in giuoco.

Riservando, in tal modo, la Tolleranza Zero al crimine, alla violenza, alla prevaricazione, alla discriminazione, all’odio, alle diseguaglianze e così via.

Vi sarebbe molto da guadagnarne, per tutti.

Rolando Grossi