Aperti a Roma a Luglio, presso l’Hotel Radisson Blu, i lavori della conferenza Social Justice Index (Indice di Giustizia Sociale), organizzata in collaborazione con la Fondazione Bertelsmann, che misura il livello di giustizia sociale nei 28 paesi membri dell’UE sulla base di dati statistici e di una valutazione prodotta da un gruppo di esperti.
Presenti all’incontro: Sandro Gozi, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega agli Affari Europei, Aart de Geus Presidente di Bertelsmann Stiftung, il Prof. Giuseppe Ciccarone Presidente di Fondazione Giacomo Brodolini, Jan Arpe Daniel e Daniel Schraad-Tischler della Bertelsmann Stiftung, il Prof. Massimo Baldini dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Raffaele Tangorra per il Ministero del Lavoro, Luigina Leonarduzzi per la Regione Friuli Venezia Giulia, Nadia Caragliano della Regione Campania, Eugenio Annicchiarico della Regione Sardegna, Luca Galassi della Regione Sardegna.
L’evento, occasione di confronto con i responsabili delle politiche per l’inclusione sociale a livello regionale e nazionale, con uno sguardo europeo, è un paper che commenta i dati sull’Italia a partire dal 2014.
La Grande Recessione ha colpito l’Italia in un momento di debolezza strutturale protratta, caratterizzata da due decadi di crescita stagnante della produttività e da un tasso del debito pubblico elevato rispetto al PIL. Quasi dieci anni dopo, l’Italia non ha risolto questi suoi due problemi principali ed ha bisogno di elaborare risposte. A otto anni dal conclamarsi della crisi, l’Italia deve fare i conti e affrontare una molteplicità di sfide economiche e sociali. Ad aggravare la situazione una struttura demografica sfavorevole e grandi disparità tra il Nord e il Sud del Paese. Negli ultimi anni l’Italia si è ritrovata in una crisi multipla: quella del sistema finanziario e bancario, quella del mercato del lavoro e dell’emergenza legata ai profughi, con parametri macroeconomici in declino e l’assenza di un sistema coerente e omnicomprensivo di unemployment e social assistance, sono state escluse le politiche fiscali d’espansione, pure la disoccupazione di lungo termine è in aumento, con un rischio maggiore di povertà e di esclusione sociale, e molti giovani hanno lasciato il Paese durante la crisi, aiutando nell’immediato le loro famiglie ma riducendo la futura competitività dell’Italia, per questo vanno create condizioni favorevoli per il loro rientro.
Traendo vantaggio da condizioni macroeconomiche più favorevoli, l’Italia dovrebbe agire in una prospettiva di lungo termine e mettere le basi per una crescita futura sostenibile. Una maggiore enfasi sull’accesso al mercato del lavoro avrà conseguenze positive sul tasso di povertà e sul sistema pensionistico, ma per rilanciare la produttività del mercato del lavoro servono anche maggiori investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo, una riforma della pressione fiscale e un’istruzione più innovativa. Le limitate risorse a disposizione sono state utilizzate soprattutto per le politiche occupazionali e a sostegno del reddito (la cosiddetta cassa integrazione in deroga) e per i crediti di imposta, ma l’instabilità politica non ha aiutato lo sviluppo di strategie di medio termine: dal 2008 si sono avvicendati quattro diversi governi (Berlusconi, Monti, Letta e Renzi) e altrettanti ministri del lavoro (Sacconi, Fornero, Giovannini e Poletti). I risultati peggiori si registrano rispetto alla giustizia intergenerazionale, dove l’Italia si posiziona penultima, ma nel complesso, l’Italia si posiziona al 25esimo posto, davanti a Bulgaria, Romania e Grecia. L’Italia è al 23esimo posto nell’accesso al mercato del lavoro, al 26esimo per il tasso di occupazione (55,7%, davanti solo a Croazia e Grecia) e al 16esimo per il tasso di occupazione tra i più anziani (46,2%). Il tasso di disoccupazione segue un andamento simile passando dal 6,8% al 12,9%, con la disoccupazione di lungo termine arrivata al 7,8% da un iniziale 3,1%. Così come negli altri paesi dell’Europa del Sud, la situazione in Italia è particolarmente difficile per i giovani. Il tasso di disoccupazione giovanile è più che raddoppiato passando dal 21,2% del 2008 al 42,7% del 2015. L’Italia si allinea con i paesi dell’Europa meridionale anche per i risultati riguardanti la giustizia intergenerazionale posizionandosi in fondo alla classifica europea. Le politiche di sostegno alla famiglia sono di gran lunga al di sotto del livello europeo (l’Italia è all’ultimo posto) e oltre all’indennità di maternità, c’è molto poco. I tagli ai trasferimenti finanziari verso gli enti locali che gestiscono gran parte dei servizi di welfare hanno peggiorato la situazione. In questo contesto la famiglia si riconferma come la principale fonte di welfare per la società italiana. L’Italia ottiene risultati migliori in materia di prevenzione della povertà e dell’esclusione sociale posizionandosi al 19esimo posto e, per le politiche specificamente dedicate a bambini e anziani, al 18esimo. Risulta a rischio di povertà ed esclusione sociale il 28,1% della popolazione italiana e l’11,5% versa in condizioni di grave indigenza materiale . Un dato tra i più alti in Europa (23esimo posto). Per quanto riguarda le pari opportunità tra uomini e donne, l’Italia ha fatto dei progressi, ma rimane ancora in penultima posizione, migliore solo della Grecia. La partecipazione femminile al mercato del lavoro è cresciuta costantemente dal 39,9% del 1998 al 50,6% del 2015 (dati Eurostat), ma rimane pur sempre ben al di sotto della media europea del 64,3%.
Le quattro sfide principali per il mercato del lavoro italiano e, più in generale, per le politiche di inclusione sociale, sono quindi:
- aumentare in modo significativo i livelli occupazionali, specialmente per le donne e per i più giovani;
- ridurre le disuguaglianze di reddito e proteggere le persone a rischio di povertà ed esclusione sociale, specialmente i bambini e i giovani;
- aumentare l’uguaglianza intergenerazionale, prendendo in considerazione le difficili condizioni macroeconomiche e la struttura demografica sfavorevole;
- ridurre le disparità regionali tra il Nord e il Sud d’Italia.
Le debolezze strutturali rappresentano una minaccia per la coesione sociale. L’Italia ha un alto livello di disuguaglianza di reddito, un bambino che cresce in un ambiente povero e/o in una situazione di esclusione sociale ha un rischio elevato di continuare a vivere in tale stato, rimanendo intrappolato in un circolo vizioso intergenerazionale Gli strumenti principali del welfare italiano sono trasferimenti in natura. Un’altra categoria a rischio di povertà ed esclusione sono i lavoratori poveri, rimasti intrappolati dalla crisi in una condizione di svantaggio. L’Italia si posiziona al 23esimo posto su 28 in Europa per il tasso di povertà dei lavoratori che, come già spiegato, è dovuta più ai bassi salari, che all’orario di lavoro ridotto. É importante ricordare che l’Italia non prevede un salario minimo legale. Come per gli altri indicatori, la povertà dei lavoratori colpisce di più i giovani lavoratori.
Le funzioni redistributive del sistema fiscale hanno ampiamente smesso di funzionare essendo state ridotte dall’aumento delle aliquote fiscali e dall’erosione dei sussidi e delle detrazioni dovute all’inflazione. L’Italia è il penultimo paese dell’indice rispetto alla giustizia intergenerazionale, dopo c’è solo la Grecia. È dagli anni Ottanta che l’Italia ha un tasso di disoccupazione giovanile più alto della media, ma la crisi ha prodotto un peggioramento e la frammentazione del mercato del lavoro che protegge soprattutto chi è già dentro, così come la debolezza dei meccanismi di transizione scuola-lavoro hanno esacerbato la situazione. A peggiorare le cose, il fatto che l’Italia sia uno dei paesi demograficamente più anziani della UE e con uno dei debiti pubblici più alti rispetto al PIL (132,1%). Quindi la pressione fiscale per i giovani d’oggi e per le generazioni future è e sarà impressionante.
È dall’inizio degli anni Novanta, quando nuove tecnologie hanno dato un forte impulso alla possibilità di produrre in altre parti del mondo, che l’Italia ha iniziato la stagnazione economica. Molti esperti e decision maker considerarono il disallineamento tra produttività e salari una ragione di fondo per la stagnazione e vennero introdotte diverse misure per promuovere la diffusione di accordi contrattuali a livello di impresa e territoriale, secondo l’accordo quadro tra le parti sociali firmato nel 2009. L‘idea di base era quella di favorire la crescita della produttività attraverso gli incentivi fiscali ai salari con una contrattazione di secondo livello. Questo approccio non fu aiutato dalla grande presenza di piccole e medie imprese che rappresentano la gran parte del sistema industriale italiano. La dimensione delle imprese italiane, infatti, è cambiata molto poco mantenendo una dimensione media al di sotto dei quattro dipendenti, contribuendo ai bassi tassi di crescita della produttività. Inoltre, l’introduzione di una serie di leggi per promuovere la flessibilità del lavoro ha comportato un crollo del prezzo del lavoro, messo ai margini rispetto al capitale, spingendo queste piccole imprese, caratterizzate da una distanza molto breve tra i proprietari delle imprese e i loro manager e da una bassa propensione al rischio, a rimanere in settori con poco valore aggiunto e ad alta intensità di lavoro poco qualificato. Questo ha portato ad avere scarsi investimenti in innovazione e un ritardo nella riorganizzazione dei posti di lavoro con effetti negativi anche sulla produttività di capitale e lavoro. Dato questo quadro di contesto, andrebbero promossi investimenti in innovazione e nella crescita del capitale umano oltre ad aumentare le risorse in R&S e andrebbero promosse anche una serie di politiche che diano impulso alla produttività e non escludano la possibilità di modifiche al sistema di contrattazione salariale.
L’Italia ha registrato uno degli aumenti più elevati dei tassi di povertà e di esclusione sociale nell’Unione, con ripercussioni soprattutto sui minori. I regimi di assistenza sociale continuano ad essere frammentati ed inefficaci nell’affrontare questo problema, con conseguenti inefficienze sostanziali sotto il profilo dei costi. Nel 2015, l’Italia era uno dei due paesi europei, insieme alla Grecia, sprovvisti di unemployment assistance e social assistance, solo dal 2016, sono stati avviati una serie di programmi per contrastare questa mancanza.
Con la legge 208/2015, la Social card sperimentale è stata estesa a tutto il territorio nazionale con il nome di Sostegno per l’inclusione attiva (SIA), che non è un regime di reddito minimo per i cittadini italiani, ma piuttosto un sussidio per i poveri assegnato in base alla situazione economica, il budget per il 2016 è di 750 milioni di euro per le misure a sostegno del reddito, mentre alle politiche attive è stato destinato l’80% 53 del PON. Un altro programma particolarmente rilevante per gli standard italiani, pensato per contrastare la povertà, è il sussidio di disoccupazione chiamato Assegno di disoccupazione o ASDI.
Ma per costruire un sistema di unemployment assistance e una social assistance, affrontando nel contempo una situazione macroeconomica complessa, oltre le nuove misure messe in campo (le citate Carta acquisti ordinaria, Social card sperimentale, Sostegno per l’inclusione attiva, Assegno di disoccupazione e Fondo di aiuti europei agli indigenti) è necessario sviluppare un regime di reddito minimo garantito soggetto a particolari condizioni economiche basato sul modello austriaco, finalizzato ad una maggiore giustizia intergenerazionale che rappresenta oggi la più grande sfida per il Paese, o prendendo magari a modello gli stati nordici e baltici, anche se la struttura demografica è molto diversa e alcune peculiarità come essere il quarto paese più anziano d’Europa, il basso tasso di natalità, la migrazione crescente dei più giovani verso i paesi della UE, aggravano ulteriormente la situazione italiana. Serve un cambiamento rapido e maggiori opportunità lavorative, e un’attenzione particolare al coinvolgimento dei giovani nel mercato del lavoro.
Inoltre l’Italia tende ad essere proattiva nella legislazione del mercato del lavoro la spesa in formazione e in creazione di direct job è invece al di sotto della media. Soprattutto, l’Italia resta indietro in materia di incentivi a startup, servizi per l’impiego e programmi occupazionali per soggetti con disabilità. Le politiche del lavoro dovrebbero andare sempre di più nella direzione di un’assistenza personalizzata per gruppi specifici, come per esempio i giovani. L’Italia è quinta in Europa per la pressione fiscale sul lavoro, e questa è una delle cause che ostacolano la crescita un tipo di cambiamento sulle imposte, come quello adottato dal Belgio nel 2016, che potrebbe liberare risorse per le aziende e le piccole e medie imprese permettendogli di investire di più in tecnologie e forza lavoro spostando la tassazione su altri elementi così da non ostacolare la crescita, l’occupazione e la competitività internazionale, occorre ridurre le barriere alle imprese, specialmente nel mercato dei beni, e fare altrettanto con la burocrazia per piccole e medie imprese e l’ampia disparità tra il Nord e il Sud d’Italia deve essere affrontata una volta per tutte, cercando di creare una convergenza al rialzo insieme alla riduzione progressiva del deficit futuro e del debito pubblico rispetto al PIL.
Roma, 31 Luglio 2016
Marcello Grotta