SECONDO RAPPORTO 2015 SUL BILANCIO DEL SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO

Si è svolta ad Aprile presso Palazzo Montecitorio, sala della Regina, la presentazione alle Commissioni Parlamentari e al Governo del 2° Rapporto 2015 “Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza” redatto a cura del Comitato Tecnico Scientifico di Itinerari Previdenziali presieduto dal Prof. Alberto Brambilla. Hanno partecipato il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, il presidente della Commissione Bicamerale di controllo Enti Previdenziali, Lello Di Gioia e il sottosegretario all’economia, Pierpaolo Baretta.
-7769038203EA7020EProsegue per il secondo anno la redazione del rapporto sul “Bilancio del sistema previdenziale italiano”, l’unico strumento disponibile in grado di dare una visione d’insieme del complesso sistema previdenziale del nostro Paese. Fino al 2012 il Rapporto era redatto dal Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale (Nuvasp), istituito dalla legge n. 335/1995 (riforma Dini)e veniva trasmesso annualmente al Ministro del Lavoro e tramite questo alle Camere e agli organismi internazionali.
I tratti salienti del Rapporto illustrati da Alberto Brambilla, presidente del Comitato Tecnico Scientifico di Itinerari Previdenziali e dai componenti dello stesso, professori Gianni Geroldi e Paolo Onofri, sono i seguenti:
Il quadro contabile: nel 2013 la spesa pensionistica complessiva (al netto della quota GIAS pari a 33,292 miliardi di euro) ha raggiunto l’importo di 214.567 milioni di euro, con un incremento dell’1,62% rispetto al 2012 (è stato + 3,3% 2012 su 2011 e + 6,2% 2011 su 2010). L’ammontare delle entrate contributive dalla produzione e dai trasferimenti GIAS e GPT per coperture figurative, sgravi e agevolazioni contributive (al netto dell’apporto dello Stato alle Gestioni dei Dipendenti Pubblici, fissato per il 2013 in 10.600 milioni di euro) ha raggiunto l’importo di 189.207 milioni di euro, in lieve flessione (-0,56%) rispetto al 2012 (+ 1,3% per il 2012 sul 2011 e + 2,5% per il 2011 sul 2010).
Il saldo tra entrate e uscite è negativo e il disavanzo complessivo di gestione ha raggiunto nel 2013 i 25,360 miliardi (+ 22% sul 2012) il che conferma il trend fortemente negativo che ha caratterizzato il periodo 2010/13 (disavanzo 2012 di 20,741 miliardi, + 26,6% rispetto al 2011 e disavanzo 2011 di 16,389 miliardi, + 26,3% rispetto ai 12,975 miliardi del 2010).
Si tratta quindi di un notevole peggioramento dei conti che ci riporta ai saldi del 1995; tale situazione è dipesa in larga parte dall’impatto occupazionale negativo prodotto dalla crisi economica; è utile evidenziare che in assenza dei rilevanti attivi della Gestione lavoratori parasubordinati (+ 6.773 milioni di euro € nel 2013; erano +6.466 nel 2011 e + 7.083 nel 2012) e delle Gestioni delle Casse dei liberi professionisti (+3.359 milioni di euro nel 2013; erano + 3.090 nel 2011 e + 3.178 nel 2012) e di quelli delle gestioni Commercianti (380 milioni), e Lavoratori dello Spettacolo (ex ENPALS) con 320 milioni, il disavanzo complessivo di sistema tra entrate e uscite sarebbe notevolmente peggiorato passando dai 25,360 miliardi di euro a 36,192 miliardi.
Sulla base dei dati dei bilanci consuntivi forniti dagli Enti di Previdenza, sono illustrati gli andamenti della spesa pensionistica, delle entrate contributive e dei saldi delle differenti Gestioni pubbliche e privatizzate che compongono il sistema pensionistico obbligatorio del nostro Paese. Il periodo di osservazione inizia dal 1989, poiché solo da tale anno si possono effettuare confronti su serie storiche omogenee. L’analisi retrospettiva copre il periodo fino al 2013, ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi ricavabili dai bilanci disaggregati. Nel Rapporto, sono descritti e valutati mediante appropriati indicatori gli andamenti di tutti i fondi della previdenza obbligatoria, sia quelli riguardanti le gestioni pubbliche, che dal gennaio 2012 secondo quanto previsto dal decreto “Salva Italia” sono confluite nell’INPS che attualmente agisce in qualità di ente unico di gestione della previdenza pubblica3, sia i fondi facenti capo alle gestioni private, inerenti le Casse Professionali in base ai D.Lgs. n. 509 del 1994 e n.103 del 1996. Per quanto riguarda l’Inps il 2013 è il primo anno di redazione del bilancio consolidato tra tutte le gestioni.
A questa “visione d’insieme” del sistema previdenziale mancano alcune prestazioni quali: i “vitalizi” dei parlamentari italiani ed europei e dei consiglieri regionali nonché le prestazioni a favore dei dipendenti degli organi istituzionali tra cui la Corte Costituzionale, la Presidenza della Repubblica, Camera e Senato e altre istituzioni quali la Regione Sicilia. Malgrado le difficoltà di reperimento di questi dati, si ritiene opportuno riportarli nell’insieme complessivo nella prossima edizione del rapporto, almeno per numero, classi di importo e dati di bilancio.
Ai fini della valutazione degli andamenti delle diverse gestioni sono prese in considerazione le principali variabili – numero di iscritti attivi, pensionati, contribuzione media, pensione media – che concorrono a determinare i saldi, sia nei bilanci correnti che nel medio lungo termine.
L’osservazione puntuale dei risultati dei singoli fondi è preceduta da un’analisi generale delle dinamiche della spesa complessiva del sistema pensionistico obbligatorio nell’arco temporale sopra richiamato.
In base ai risultati delle proiezioni relative al sistema pensionistico obbligatorio, nel Rapporto vengono illustrate le tendenze e l’andamento del rapporto spesa totale/ PIL successivi al 2013 e in una prospettiva di breve e medio lungo termine anche con riferimento sia alla sostenibilità finanziaria sia all’adeguatezza delle prestazioni.
Tra le novità del Rapporto vi sono l’analisi degli andamenti della Gestione per gli interventi assistenziali (GIAS) e della Gestione Prestazioni Temporanee (GPT) per le prestazioni di sostegno al reddito, finanziate dalla produzione e dalla fiscalità generale che sono il logico completamento delle analisi sulla spesa complessiva per il welfare previdenziale ed assistenziale; il calcolo dei “tassi di sostituzione” offerti dal sistema con proiezioni per differenti carriere e scenari economici, sulla base sia della normativa vigente sia con differenti indicatori economici, proposte con metodica di calcolo e rappresentazione grafica innovative; una analisi di dettaglio sulle diverse tipologie di prestazioni pensionistiche e assistenziali con la loro distribuzione geografica e un approfondimento sul sistema delle Casse Privatizzate. Il Rapporto è completato da una valutazione qualitativa e quantitativa del welfare complementare ed integrativo e da una rassegna delle principali modifiche e novità legislative proposte nel biennio 2013/2014.
1. Il quadro economico: sviluppo, produttività e occupazione nel medio termine
L’evoluzione dell’economia dopo il Rapporto dello scorso anno ci costringe ad aggiornare la contabilità della crisi. Le attese di fine della recessione con il 2014 sono andate deluse. Ci troviamo indubbiamente di fronte a un rallentamento della caduta del PIL (nel 2013 il PIL era caduto dell’1,9%, nel 2014 il preconsuntivo indica una caduta dello 0,4%) ma pur sempre una caduta. Complessivamente rispetto al 2007 il PIL alla fine del 2014 è più basso di poco meno di 9 punti percentuali. Fin qui l’andamento del PIL reale, ma anche il PIL nominale ha avuto andamenti decisamente inconsueti rispetto al passato: nello stesso periodo (sette anni) è cresciuto complessivamente solo dello 0,6%, essendosi ridotto del 3,6% nel 2009 e dell’1,1% tra il 2011 e il 2014. L’andamento del PIL nominale è molto importante ai fini pensionistici, dato che il tasso di capitalizzazione nozionale dei contributi versati dai lavoratori è costituito dalla media mobile quinquennale del PIL nominale. Di qui il problema che si è posto se a fronte di un tasso di variazione negativo del PIL nominale anche il montante debba essere ridotto. (Si veda, più avanti, il punto X della sintesi).
In questi sette anni la riduzione del PIL si è trasformata in riduzione dell’occupazione di un milione circa di addetti, poco più della metà dipendenti e il resto indipendenti. In realtà, per quanto riguarda i dipendenti, i posti di lavoro a tempo pieno (le cosiddette unità di lavoro) si sono ridotti di quasi 1,1 milioni, a fronte di 575 mila dipendenti in meno: la differenza è costituita da lavoratori a tempo parziale e lavoratori in Cassa Integrazione. In ogni caso, la caduta è proporzionalmente molto più pesante per gli indipendenti che nel 2007 erano circa 6 milioni, mentre i dipendenti 17 milioni circa.
Ciò non è senza effetti sui conti delle gestioni dei lavoratori autonomi. Infatti, il reddito da lavoro autonomo al lordo delle imposte tra il 2007 e il 2014 si è ridotto, in termini nominali, dell’11%, a fronte del reddito da lavoro dipendente che, in termini nominali, è cresciuto del 6%. L’intero complesso dei contributi sociali in sette anni è cresciuto solamente dell’1,8%. Diversi, ovviamente, sono gli andamenti in termini reali dei redditi lordi se si considera che i prezzi nello stesso periodo 9 sono cresciuti complessivamente di quasi il 13%: -24% per il lavoro autonomo e -7% per quello dipendente.
A differenza dell’inizio del 2014, quest’anno le prospettive di fine della recessione e inizio della ripresa sembrano più fondate. Tutto sembra favorire la svolta: la caduta del prezzo del petrolio che espande sia il reddito disponibile delle famiglie, che i margini delle imprese, il deprezzamento dell’euro con effetti sulle esportazioni, anche se moderati a causa del contemporaneo deprezzamento delle valute dei paesi emergenti, l’acquisto di titoli obbligazionari sul mercato secondario da parte della Bce per un periodo di quasi due anni e, infine, anche il piccolo contributo positivo che potrà venire per la nostra economia dal turismo messo in moto dall’Expo.
L’uscita dalla recessione sarà progressiva nel corso del 2015 e proseguirà negli anni successivi a tassi tra l’1 e l’1,5%, in tal modo recuperando in parte l’elevato gap tra PIL effettivo e PIL potenziale (output gap) che si è andato accumulando in questi anni. In ogni caso, è molto improbabile che prima della fine di questo decennio si possa recuperare il livello del PIL che era stato raggiunto nel 2007. La crisi ha agito non solo sul livello del PIL effettivo, ma anche, almeno parzialmente, sul livello di quello potenziale. Di conseguenza, nei decenni successivi a questo, quando anche gli effetti dell’invecchiamento della popolazione complessiva e di quella in età da lavoro diventeranno sempre più forti, molto difficilmente il tasso di crescita di lungo andare potrà superare l’uno per cento annuo. Ciò tenderà a rendere più pesante l’onere della spesa previdenziale, sanitaria e assistenziale rispetto alle risorse che il sistema in quel periodo sarà in grado di produrre. Nel Capitolo 9 vengono presentate le previsioni (2015-2060) formulate dalla Ragioneria Generale dello Stato (RGS) per quanto riguarda il rapporto tra spesa pensionistica e PIL. La dinamica descritta dalla RGS considera la crescita annuale del PIL pari all’1,5 per cento nella media dei quarantacinque anni indicati. Dal punto di vista degli equilibri macroeconomici di lungo periodo, il tasso di crescita medio dell’1,5% è coincidente con il tasso di rendimento reale annuo sulla base del quale, assieme ad altri fattori, è ottenuto il coefficiente di trasformazione, che, nel calcolo contributivo della pensione, viene utilizzato per trasformare il monte contributi in rendita annua, secondo quanto stabilito dalla legge 335/1995. L’andamento del rapporto spesa previdenziale/PIL che la RGS ottiene potrebbe essere considerato ottimistico; data, comunque, l’alea che circonda previsioni a così lunga distanza temporale, le previsioni formulate dalla RGS rimangono le stime più affidabili che allo stato attuale delle conoscenze si possono formulare.
2. La spesa per pensioni dal 1989 al 2013
Considerando l’insieme dei fondi del sistema obbligatorio, la spesa totale per pensioni nel 2013 è risultata pari a 247,9 miliardi di euro, con un incremento di poco meno di cinque miliardi rispetto all’anno precedente, equivalente a circa il 2%. Se dalla spesa totale si sottrae la quota trasferita dalla GIAS (gestione degli interventi assistenziali), le prestazioni sono ammontate a 214,6 miliardi di euro, con un aumento di circa 3,5 miliardi sul 2012, ovvero un valore percentuale più basso (+1,6%) rispetto all’aumento della spesa totale.
Sul versante delle entrate, l’ammontare complessivo delle contribuzioni nel 2013 è stato pari a 189,2 miliardi di euro, con una contrazione di circa 1,1 miliardi rispetto al 2012. Sempre nel 2013, il saldo tra entrate contributive e uscite per prestazioni è risultato negativo per 25,4 miliardi di euro, con un peggioramento di 4,6 miliardi rispetto all’anno precedente. La variazione negativa delle entrate contributive, seppure di ridotte dimensioni, solleva tuttavia un elemento di preoccupazione riguardo ai possibili effetti negativi che il cattivo andamento dell’occupazione può esercitare sugli equilibri finanziari dei conti previdenziali. Dal 1989, infatti, anche considerando il periodo dal 2008 in poi, cioè gli anni in cui l’andamento economico è stato più negativo, la dinamica delle entrate contributive è stata sempre positiva. A questo proposito, si deve anche rilevare che, se si guarda 10 all’andamento delle entrate contributive dall’inizio dei valori rilevati fino a prima del periodo di crisi, cioè fino al 2007, si registrano incrementi medi annui dei contributi pari al 6,9% in valori nominali e al 3,5% al netto della variazione dei prezzi. Dal 2008 in poi, i due corrispondenti tassi medi di variazione sono invece scesi all’1,8% e allo 0,06% in termini reali.
Nel mettere a confronto questi valori, occorre tenere conto del fatto che nel primo arco di tempo il flusso delle entrate contributive è stato anche sostenuto da aumenti delle aliquote contributive, mentre dal 2008 in poi le aliquote sono rimaste costanti.
Tuttavia, ai fini del saldo complessivo della previdenza, oltre alla dinamica della spesa, merita di essere tenuta presente anche questa forte contrazione nella crescita delle entrate contributive.
Conclusioni: uno Stato senza un progetto di welfare.
Uno dei fatti salienti del biennio in esame (2013/2014) è certamente la manovra congiunta tra l’aumento della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione e delle Casse dei Liberi Professionisti e la possibilità di mettere il TFR in busta paga. Perché un sistema pensionistico nel suo complesso funzioni in un Paese maturo, occorre che ci sia una precondizione generale e almeno due presupposti fondamentali. Anzitutto, come precondizione, occorre che i decisori politici abbiano un progetto di welfare, cioè conoscano a fondo la situazione economica, di gettito fiscale/contributivo e demografica attuale e futura con proiezioni almeno a 50 anni (tutti dati assolutamente disponibili). Poi occorrono i due presupposti: a) incentivi alla previdenza complementare senza i quali è difficile far partire un sistema di welfare complementare sul modello beveridgiano; b) una costante ed efficace comunicazione e informazione sulla situazione pensionistica di tutti ed in particolare dei giovani post 1996. Senza queste precondizioni l’intero sistema del welfare nazionale potrebbe essere a rischio.
Roma, 30 Aprile 2015

Marcello Grotta