RIFLESSIONI POLITOLOGICHE SULL’OLIGARCHIA

Mi capita sin troppo spesso e ciò continua a sorprendermi, di leggere esternazioni dalle quali si appalesa come l’impiego delle parole, ma ancor più dei concetti ad esse sottesi, per alcuni (persino colti o istruiti) sia meramente finalizzato al tentativo di affabulare altri nella speranza che non conoscano ciò di cui si parla.

Si assume : siamo governati, siamo in mano ad un’oligarchia!!

Bene, allora tentiamo di comprender di cosa si tratti, senza scadere nel sessantottismo del 18 politico o nel pressapochismo buono per ogni occasione!

Forse a volte, sebbene io speri che non sia così, non si comprende come ci si stia riferendo a categorie politiche definite già dal grande filosofo greco Aristotele.

Ed infatti, fu proprio quest’ultimo colui il quale, nella sua lungimirante opera “Politica”, teorizzò la tripartizione delle forme di governo, ossia definì le tre possibili strutture politiche attraverso le quali dovrebbe essere possibile amministrare la polis.

La monarchia – l’aristocrazia – la politeia.

Aristotele riteneva, inoltre, che tali tre forme di organizzazione politica corressero sempre il rischio di essere portate all’estremo sino a scadere rispettivamente in: tirannide – oligarchia – democrazia oppure oclocrazia (termine che ritroviamo in Polibio).

Ciò detto, per Aristotele la forma migliore di costituzione, che auspica ne ”la Costituzione degli Ateniesi” è quella della politeia.

Ebbene, in tale forma di esercizio del potere volto ad amministrare la polis nell’“interesse comune”, si possono riscontrare gli aspetti migliori delle altre forme teorizzate.

La politeia, dunque, è dal punto di vista concreto (oggi con scarsa eleganza si direbbe “operativo”), la migliore tra tutte le forme di governo (Aristotele, per il vero, si riferisce a costituzioni).

Essa, difatti, si fonda sulla valorizzazione del ceto (da Marx in poi classe) benestante, quello che potremmo definire il ceto medio, il quale è, senza dubbio, maggiormente orientato e disponibile all’equilibrio ed alla stabilità.

La politeia quindi.

Essa racchiude in sé (riunifica) gli aspetti migliori della democrazia e della oligarchia (cui Aristotele riconobbe un grande valore politico!!)

Ed in realtà, nella politeia le cariche pubbliche sono elettive così come nella oligarchia, esse tuttavia sono svincolate dal censo (essere ricchi o poveri, nobili, equestri, umili, patrizi o plebei) esattamente così come avviene nella democrazia.

La democrazia al contrario, secondo Aristotele, è il governo del demos. questo va inteso come governo dei poveri, i quali proprio per la loro condizione rappresentano un rischio per la stabilità dello stato in ragione della loro propensione a sottrarre ai ricchi i loro beni, al fine di migliorare le proprie condizioni economiche, invece di occuparsi dell’esclusivo interesse della polis.

Aristotele, pertanto, ritiene che siccome la massa dei cittadini è, di norma e per esperienza, costituita da coloro che hanno meno – i meno abbienti – la democrazia si identifichi naturalmente proprio con l’oclocrazia.

Si può dargli torto? Forse ma occorre farlo a ragion veduta.

Ma ancora sull’oligarchia.

Marx , come è noto, auspicava in buona sostanza il predominio della classe operaia, ritenendola in grado di sovvertire il potere della borghesia e pervenire alla dittatura del proletariato, espressione della quale sarebbero dovuti divenire i suoi rappresentanti.

dunque, ancora una volta, un’oligarchia.

Lo stato, però, solo transitoriamente sarebbe stato amministrato da rappresentanti dei soviet popolari (essi stessi oligarchie), perché ben presto e non pacificamente si sarebbe dovuti giungere al regno della libertà, ove le gerarchie non avrebbero avuto spazio.

quanto sopra si fondava sulla convinzione che i proletari avrebbero, prima o poi, attratto l’altra classe sociale riconosciuta da Marx, ovvero la borghesia.

Ebbene, tale previsione non trovò mai un fondamento nella realtà, non fu mai così.

I proletari hanno sempre ambito, attraverso la democrazia od oclocrazia, a divenire borghesi, migliorare le loro condizioni e divenire, se possibile, persino benestanti od addirittura ricchi.

Ciò rappresenta, in fondo, proprio una delle maggiori critiche al marxismo, ma anche al comunismo e al socialismo.

In altri termini si contesta a tali teorie politiche la dimensione utopistica delle loro dottrine (portata utopistica svelata anche da Max Weber).

Una critica condivisibile alla tripartizione aristotelica la operò, invece, Gaetano Mosca (elitista, politologo, giurista e senatore).

Egli riteneva che l’unica forma possibile di governo fosse proprio l’oligarchia, poiché invero ed in ogni caso, tutte le forme di amministrazione politica si ridurrebbero proprio ad essa.

Non vi è dubbio infatti che: la monarchia può funzionare solo attraverso la sua burocrazia (una oligarchia) e non certamente attraverso la solitaria azione del sovrano.

Nello stesso modo, la democrazia può esplicarsi esclusivamente attraverso l’azione di coloro che sono chiamati a fungere da rappresentanti della comunità che li ha eletti e che costituiscono la classe dirigente dello stato democratico (un oligarchia).

Due sono, secondo mosca, le classi politiche: i governanti ed i governati.

I primi costituiscono una elite organizzata, che teorizza prospettive politiche e concentra i suoi componenti in partiti politici.

I secondi sono tutti gli altri.

La storia insegna come le elite (oligarchie) organizzate governino lo stato e le masse disorganizzate.

del resto, in parte con Karl Marx, Gaetano Mosca riconosceva che “la storia dell’umanità è storia di lotta”. tuttavia, la lotta cui Mosca allude è politica non economica.

Lotta tra la classe politica che detiene il potere e coloro che al potere aspirano, cioè coloro che aspirano a diventare un potere o a detenerlo.

La classe politica, a sua volta, si compone di coloro che detengono il potere materiale, ovvero i burocrati, e coloro che detengono il potere intellettuale.

Il primo gruppo ambisce ad avere anche il potere dell’altro gruppo e viceversa, per tali ragioni attraverso il compromesso, si riunificano in classe politica/partito.

Mosca evidenzia, in sostanza, che nella monarchia, nella democrazia così come nella oligarchia, siano sempre minoranze organizzate a governare masse disorganizzate.

Un esempio storicamente risalente ed estremamente concreto ci proviene da un sistema politico che gode di notevole apprezzamento, ossia il sistema svizzero.

Sin dal patto del Grütli del 1291 in poi, gli Svizzeri hanno sempre delegato, utilizzando il mezzo del referendum popolare, ad un’oligarchia (oggi un Direttorio) il compito di governare pacificamente.

Ed allora, sembra opportuno che si faccia attenzione all’uso, o meglio, abuso di termini e categorie politiche, giacché non di rado si rischia di criticare ciò che il critico stesso rappresenta, senza comprendere a pieno il senso di quanto si sostiene.

Mi chiedo, in quale altro modo si dovrebbe amministrare un ente?

Forse con un collettivo permanente, un’assemblea nazionale continua o dei comitia curiata?

Gli enti si amministrano attraverso oligarchie che sono espressione di chi le ha investite attraverso un processo democratico e che si assumono la responsabilità delle decisioni che prendono in forza di un mandato democraticamente ricevuto.

Responsabilità dinanzi alle quali si pongono alla fine del loro mandato.

Chi non è d’accordo può e deve dissentire e criticare le singole decisioni, la linea politica, i provvedimenti, tuttavia gli gioverebbe astenersi da infondate contestazioni circa un sistema che garantisce il diritto di tribuna, è espressione di scelte democratiche, e si mette continuamente in discussione, sottoponendo periodicamente i suoi rappresentati al vaglio popolare.

Rolando Grossi