VOLUNTARY DISCLOSURE
Letteralmente significa “divulgazione volontaria”, ma in Italia si è optato per una traduzione più morbida: “collaborazione volontaria”, forse perché divulgazione volontaria sa un pò di confessione. In sostanza è la possibilità di riportare in Italia, i capitali illegalmente detenuti all’estero pagando naturalmente un dazio. Il dispositivo è entrato in vigore il primo gennaio 2015 e doveva concludersi entro il 30 settembre 2015. A questa data sono state più di 60.000 (esattamente 63.251) le richieste di adesione pervenute al Ministero, anche se il loro numero si è in realtà impennato nel mese di settembre, in prossimità della scadenza. Il viceministro dell’Economia, Luigi Casero, rispondendo ad una interrogazione parlamentare del M5S, ha stimato che il gettito derivante dalle istanze di adesione possa raggiungere 1,9 miliardi di euro, contro i 671 milioni che il governo aveva scommesso di incassare ad inizio 2015.
L’impennata del numero di adesioni dell’ultimo mese, assieme alla oggettiva difficoltà tecniche nel presentare tutta la documentazione richiesta (bisogna infatti ricostruire tutte le movimentazioni bancarie di tutti i soggetti legati ad ogni singolo conto estero negli ultimi 4 anni), ha convinto il consiglio dei ministri a prorogare la scadenza per aderire alla voluntary fino al 30 dicembre 2015, dando tempo a tutti, anche a chi ha già presentato la domanda prima del 30 settembre, fino a quella data per presentare la documentazione necessaria. Questa misura, sempre secondo il governo, potrebbe anche far aumentare, e non di poco, le stime sulle entrate provenienti dalla disclosure.
Ma chi sono i soggetti protagonisti della voluntary?
Per farci un’idea abbiamo chiesto ad un importante studio commercialista del nord Italia che sta seguendo migliaia di queste pratiche. Ci hanno detto che la maggior parte dei richiedenti sono persone insospettabili, il cui capitale proviene da accumulazione, spesso lenta ma costante, avvenuta fino ai primi anni duemila, magari da genitori e nonni che facevano i commercianti o gli artigiani in un’Italia dove circolava molto più denaro e che adesso hanno necessità di far rientrare quei capitali. Si tratta nella maggior parte di tesoretti che variano da 500 mila a 1 milione e mezzo di euro. Questo avviene perché il dazio da pagare varia molto da caso a caso: se il gruzzolo è stato accumulato recentemente ed in modo non propriamente regolare lo scotto da pagare è altissimo, anche il 100% del capitale, mentre se è di provenienza più antica, e magari ereditato, si può scendere anche a tassazioni vicine, o ancora più basse, al 5% della somma da far rientrare (meno del recente scudo fiscale di Berlusconiana memoria). Ci chiediamo quindi se con questo provvedimento si riescano a rintracciare i grandi evasori plurimilionari, quelli che hanno evaso molto, probabilmente in modo illegale, negli ultimi anni, magari speculando sulla crisi.
Una parte degli introiti, 1,4 miliardi di euro, della voluntary ci hanno comunque salvato, per il momento, dall’aumento delle accise sulla benzina e l’aumento di IRES e IRAP sulle imprese. Misure che il governo avrebbe dovuto operare dal primo ottobre in conseguenza di due clausole di salvaguardia: la prima riguardante la bocciatura della reverse charge sull’IVA sulla grande distribuzione da parte dell’Europa; la seconda, risalente addirittura al governo Letta, sulla mancata copertura dell’abolizione della prima rata dell’IMU del 2013.
Roma, 30 Ottobre 2015
Valerio Orsolini