REFERENDUM NOTRIVELLE E NON SOLO

ACERIn merito alla posizione del Governo Renzi che invita il PD e i cittadini ad astenersi dal voto per far venire meno il quorum per il referendum NO TRIV, meno male che c’è ancora un giornalista come Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 19 Marzo 2016), che ricorda alla Serracchiani e a Renzi le loro posizioni decisamente contro le trivelle alla ricerca di idrocarburi nei mari italiani, quando non erano felicemente approdati nelle loro attuali posizioni di Governo. Ma come è ben noto, cambiano gli interessi, e quindi anche i parametri democratici di riferimento. Travaglio cita i casi dei referendum del nucleare e “l’andate a mare” del Governo Craxi, per i quali c’era l’invito all’astensionismo da parte di allora Capi del Governo, Berlusconi e Craxi. I cittadini disattesero le aspettative sia di Berlusconi che di Craxi, ed entrambi i referendum furono coronati da successo. Riguardo il referendum No Trivelle, come al solito, non si ha la capacità di entrare nel merito con un minimo di coerenza; si assumono posizioni ideologiche che poco hanno a che vedere con il problema su cui si dibatte. La cosa più grave è che soprattutto gli addetti ai lavori assumono posizioni incoerenti e contraddittorie, nel caso specifico i geologi (i Laureati nelle GeoScienze che lavorano nel settore sono comunque una parte irrisoria rispetto alla forza lavoro esistente). Il paradosso è ritrovare siffatti Geologi/Ricercatori schierati contemporaneamente fra gli strenui sostenitori del punto di vista di chi ritiene che i cambiamenti climatici siano dovuti quasi unicamente alle attività antropiche (fra le quali sono notoriamente dominanti quelle legate all’uso di combustibili fossili: in primis idrocarburi e carbone) contro chi viceversa sostiene che i cambiamenti climatici siano dovuti prevalentemente a fattori ciclici naturali che appunto la geologia dimostra essere stati sempre presenti nell’evoluzione del pianeta Terra. La teoria antropica del riscaldamento globale richiede l’implementazione di pesanti politiche di mitigazione energetica, cioè una drastica riduzione dell’uso di idrocarburi e carbone che immette ingenti quantitativi di gas serra (e.g. CO2) nell’atmosfera. Gli attacchi contro quelli che vengono etichettati in modo dispregiativo quanto improprio come “negazionisti” solo perché sostengono una origine naturale di una componente importante del cambiamento climatico, arriva a livelli di talebanismo ideologico, anche all’interno delle Università per decisioni che coinvolgono le carriere di siffatti “reprobi”. In questo contesto, è bene ricordarlo, i cosiddetti “negazionisti” non invitano certo a non limitare per esempio l’immissione di CO2 nell’atmosfera e/o altre attività antropiche che certamente forniscono un contributo al riscaldamento globale. Essi, semmai, denunciano il fanatismo ambientalista ritenendo che costose e distruttive politiche di mitigazione non siano necessarie, che si può continuare ad usare, anche se con scienza e saggezza, gli idrocarburi e il carbone (le nostre fonti primarie di energia e benessere) e che i cambiamenti climatici futuri saranno sufficientemente moderati da essere affrontati efficacemente con appropriati interventi di adattamento ambientale. Questa posizione simultaneamente promuove la scienza, tutela il benessere della società ed incoraggia il suo sviluppo tecnologico. Ma per chiarire bene il motivo dell’ostruzionismo delle lobbies petrolifere rispetto al problema del global warming bisogna riportare dati (da Capra F. e Luisi P.L., 2014. Vita e natura. Una visione sistemica. Aboca, 606 pp.; McKibben B., 2012. Global warming’s terrifying math. Rolling Stone): “La quantità di CO2 che può essere emessa nell’atmosfera entro la metà del secolo restando al di sotto di 2°C (limite da non superare pena un cambiamento climatico fuori controllo) è di 565 gigatoni (miliardi di tonnellate). Al tasso attuale di immissione nell’atmosfera di CO2 (32 gigatoni) questo limite si raggiungerà in 17 anni. La quantità di CO2 contenuta nelle riserve accertate di combustibili fossili è di 2.800 gigatoni, vale a dire 5 volte superiore al limite di sicurezza di 565 gigatoni. Ma questi 2.800 gigatoni sono tecnicamente ancora sottoterra, ma economicamente sono già estratti in quanto elencati come beni patrimoniali nei bilanci delle lobbies petrolifere”. In una logica di profitto, è possibile che queste lobbies rinuncino, ad un valore di mercato tutte insieme, di 20 trilioni di dollari del loro patrimonio? Mi sembra quanto meno utopistico. Questo spiega, da un lato, perché le lobbies energetiche da combustili fossili siano ferocemente contro le restrizioni delle emissioni di CO2, e spiega anche nello stesso tempo il paradosso di chi, da una lato è favorevole alla collaborazione con le lobbies per micro-interessi di bottega, e nello stesso tempo schierato nel campo di feroci ambientalisti contro i cosiddetti “negazionisti”. Sembra evidente che le due posizioni non possano essere conciliabili. Ebbene, quale è la posizione degli intolleranti scienziati, soprattutto quelli che poi lavorano per gli interessi delle compagnie petrolifere e che simultaneamente inveiscono contro i “negazionisti” accusati di non considerare il CO2 un inquinate pericoloso? Per coerenza con loro le posizioni “ambientaliste” dovrebbero essere contro lo sfruttamento dei combustibili fossili. Sostengono invece la posizione dell’astensionismo promossa da Renzi, spudoratamente anche nelle Aule Universitarie, sostenendo che se si fermano le trivelle, i geologi non troverebbero più lavoro. Ovviamente non osano dire, che prima di tutto forse, qualcuno di loro, perderebbe qualche piccola Consulenza (comunque parva materia) con qualche società petrolifera, ma scorrettamente cercano di generalizzare i loro interessi di bottega sulla base di un assunto assolutamente parziale (il lavoro per i neo-laureati in geologia), dimenticando il campo vasto, in termini di opportunità di lavoro per i giovani, che determinerebbe la conversione della politica di “rapina” e sfruttamento della Natura rispetto ad altra di privilegio dell’uso di fonti alternative e/o integrative delle risorse.

Prof. Benedetto De Vivo. Università di Napoli Federico II e Adjunct Prof. Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA