RAGIONAMENTI SULLA LIBERTA’

“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.

Così il grande giurista Pietro Calamandrei, colui che si dedicò attraverso la sua professione e la sua testimonianza a propugnarla e teorizzarne la difesa, tentò una convincente definizione della libertà.

Gioverebbe, dunque, in una società che intende definirsi “aperta, multietnica, policromatica, variegata e democratica” riflettere sul fatto che essa diverrà auspicabilmente tale solo mediante il costante e quotidiano impegno, sebbene faticosamente profuso, di tutti ad adattarsi alla libertà.

Sia essa libertà di pensiero ed espressione, libertà di parola, libertà di ricerca e di insegnamento, libertà di satira e critica o libertà di religione e via dicendo.

Coerentemente, quindi, non possono non essere considerate sapienti le esortazioni di coloro i quali invitano al permanente rispetto delle differenti convinzioni.

Ed allora, la sollecitazione all’ossequio consapevole e spontaneo per le opinioni politiche, gli orientamenti religiosi, le inclinazioni etiche divergenti o per le dissimili sensibilità e posizioni o ancora per le diverse formazioni culturali, non può e non deve giammai essere definita o interpretata come un invito all’autocensura o come un arretramento, sul piano ideologico, giuridico o anche solo culturale, in grado di limitare definitivamente la libertà di espressione e di azione.

Tutt’altro, a parer mio. La libertà di ciascuno, nonostante non vada concettualmente e teoricamente mai limitata, incontra un confine o forse un perimetro nelle libertà altrui.

Molto efficacemente il Dott. Martin Luther King jr. ebbe a sostenere che: “My freedom ends where your freedom starts (la mia libertà finisce dove comincia la vostra)”.

Nella sua essenzialità il concetto espresso da tale illuminante ed appassionata locuzione sintetizza un insegnamento che dovrebbe fungere da principio-guida per ogni consesso umano.

Ordunque, vale la pena, seppure succintamente, di indagare sul concetto stesso di libertà ed investigarne alcuni aspetti.

Ovviamente, senza mai neanche immaginare di poter essere esaustivi, ma solo con l’intento di offrire lo spunto per una riflessione che, oggi più che mai, appare indispensabile ed ineludibile.

La storia del pensiero umano ci ha lasciato in eredità una luminosa testimonianza circa tale fondamentale questione, dalla quale voglio trarre l’incipit per alcune considerazioni.

La libertà di pensiero, senza alcun dubbio, costituisce una delle maggiori conquiste insite nella convivenza tra esseri umani ed, altrettanto indiscutibilmente, essa non può e non deve mai prescindere dalla libertà di parola e di espressione, intesa sotto tutti i suoi molteplici aspetti ed accezioni.

E’ evidente come la percezione della necessità di consentire a tutti di manifestare liberamente le proprie opinioni, di discutere intorno ad esse e di sostenerle sia il frutto di un percorso di maturazione della coscienza degli uomini e poi dei popoli concretizzatosi nel corso di secoli ed a costo di conflitti anche cruenti, ma pur tuttavia indispensabili ai fini del progresso e del bene dell’umanità.

Lo scontro autorità-libertà si è da sempre svolto sul piano della contrapposizione tra nuove idee e vecchi principi.

In ragione di tali antitesi, presenti in ogni epoca storica, il potere costituito ha sempre tentato, non di rado riuscendo nell’intento, di costringere al silenzio coloro che furono patrocinatori di visioni innovative e, perciò stesso, considerate atte a sovvertire proprio lo status quo.

Malauguratamente di sovente tale tentativo è stato attuato mediante inaccettabili forme di coercizione, significativi e gravi casi delle quali ci sovvengono, purtroppo numerosi alla memoria, attraverso un rapido excursus intorno alla storia di importanti eventi umani.

Uno dei più eclatanti esempi di quanto sopra tratteggiato è delineato da quanto accadde al grande filosofo greco del V secolo A.C. Socrate, la cui vita intera e, soprattutto, la cui morte offrono ancora oggi una clamorosa prova di coerenza e libertà, di pensiero, di coscienza, di spirito.

Egli, infatti, venne processato e condannato a morte semplicemente per aver avuto il coraggio e la coerenza di manifestare, sostenere e divulgare mediante l’insegnamento il suo pensiero.

Socrate, peraltro, ebbe cura di farlo liberamente e pubblicamente, immolando appunto la sua vita pur di testimoniarne la esattezza.

Il Processo a Socrate, narrato da Platone nella “Apologia di Socrate”, ci affida, senza tema di smentita, una rara ed esaltante dimostrazione della capacità di affermazione della propria libertà di pensiero, sostenuta mediante una lucida, razionale, raffinata ed appassionata difesa delle proprie ragioni e suggellata dal coraggioso rifiuto di sottrarsi all’ingiusta condanna, al fine di non tradire gli ideali assurti a fondamento di un’intera esistenza.

L’insegnamento che deriva dalla lezione socratica mi è parso ineludibile in uno scritto che si occupi di libertà. Egli, infatti, intese lasciare ai suoi allievi, ai suoi oppositori e sinanco al mondo intero un’eredità morale costituita dall’attestazione del rigetto di ogni costrizione rivolta contro l’estrinsecarsi del proprio essere libero, a costo dell’estremo sacrificio.

Del resto nell’antichità furono proprio i Greci a considerare la libertà – ἐλευθερία” (eluterìa) – quale condizione indispensabile per la convivenza dei cittadini della πόλις” (polis, città-stato).

La “polis”, peraltro, fu il contesto ove si generò l’idea di democrazia, concetto ben diverso da quello di libertà, stando alle parole che lo storico Tucidide, attribuì al grande Pericle: “si usa democrazia per definire il nostro sistema politico semplicemente perché siamo soliti far capo al criterio della «maggioranza», nondimeno da noi c’è libertà”.

Si fa solitamente risalire al Medio-Evo la prima forma di tutela giuridica della libertà personale volta, in quel caso, a tutelare le prerogative dei nobili e degli ecclesiastici.

Ad essa venne assegnato il nomen iuris di Magna Charta Libertatum e fu concessa dal re inglese Giovanni Senza Terra nel 1215, il quale si impegnò in prima persona a rispettare i diritti ivi sanciti apponendo la sua sottoscrizione a tale documento.

Ugualmente nel Medio-Evo si fronteggiarono prevalentemente due diverse concezioni della libertà.

Da un lato quella cristiana, in cui si rappresentava la possibilità dell’uomo, in quanto creatura di Dio, di scegliere tra il bene ed il male.

Dall’atro lato, la visione della quale furono portatori i sostenitori della Riforma protestante, secondo i quali ogni essere umano era completamente subordinato a Dio e, pertanto, in sostanza non libero.

Ad onor del vero, le due posizioni testé richiamate animarono la contrapposizione tra due grandissimi pensatori di quell’epoca, ovvero Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero, che viene considerato da molti il maggior dibattito teologico della storia.

Operando un balzo in avanti nella storia relativa all’argomento sin qui illustrato, è necessario soffermarsi per una sollecita riflessione sulla interpretazione del prezioso concetto di libertà che offrì, in modo dirompente, il pensiero illuminista.

Per gli illuministi, infatti, la libertà è lo status naturale dell’umanità, sebbene alcuni di essi pensassero che tale condizione venisse minacciata o addirittura distrutta da una oppressiva civiltà.

“L’uomo è nato libero ma ovunque è in catene”, protestava vibratamente Jean-Jaques Rousseau, allorquando proponeva il mito del buon selvaggio.

Le brevi riflessioni e cenni storici che precedono evidenziano, immediatamente, come da sempre nella coscienza stessa dell’umanità, ed oggi con ancora maggior forza, la libertà appaia grandemente come il bene/diritto più elevato, al quale tutti gli altri beni e diritti debbano essere subordinati.

Del resto anche, o forse vieppiù, sotto il profilo pratico ed applicativo la giurisprudenza rimarca e rammenta alla politica come ogni forma di libertà, sia di espressione, di pensiero, di parola, che di critica di religione e così via, debba avere sempre prevalenza rispetto ad ogni altro valore morale.

Da considerazioni di tal fatta discende che tutti quei valori i quali entrino in concorrenza con la libertà, ossia che ne possano, anche solo potenzialmente, limitare l’esplicazione, vengano considerati in guisa di vincoli, di proibizioni, di ostacoli, ovvero appaiano veri e propri relitti di arcaici divieti e timori.

In altre parole, l’agire politico e sociale deve legittimarsi per il fatto che favorisca la libertà e che da essa sia costantemente orientato.

Persino la religione, a mio modo di vedere, non può prescindere da tale intangibile valore ed anzi essa, quale esortazione coscienziale e fede nella finalità metafisica dell’uomo, rende concreto il proprio messaggio soprannaturale solo nella misura in cui si presenta come forza liberatrice per le singole persone e, quindi, per l’umanità nel suo insieme.

In buona sostanza ed in estrema sintesi, ritengo che nella gerarchia dei valori dei quali l’uomo e la sua vita umanamente degna non possano fare a meno, la libertà sia indubbiamente quello più autenticamente indispensabile e costituisca il fulcro stesso sul quale poggia l’intera esistenza umana.

Per tale ragione le Carte Costituzionali, delle quali gli stati si dotano e nelle quali compendiano il catalogo dei diritti essenziali ed insopprimibili cui riferirsi, sono imperniate su tale valore che ne costituisce il loro stesso presupposto.

Esattamente come avviene nella Costituzione della Repubblica Italiana, che tutela la libertà sotto molteplici aspetti, garantendone l’esercizio nelle diverse forme attraverso le quali essa si realizza.

Tra queste, ovviamente, viene annoverata quella della libera manifestazione del pensiero, in ordine alla quale la Carta Fondamentale stabilisce che tutti debbano poterne fruire.

L’accurato impegno profuso dagli insigni ed illustri giuristi ed intellettuali che contribuirono a formare il testo della nostra Carta Costituzionale, nel quale con innegabile abilità e competenza vennero contemperate le diverse istanze ed esigenze politico-sociali dell’epoca, mi impressionò molto sin da quando lo iniziai ad esaminare con attenzione e profondo rispetto.

In particolar modo mi è parsa agevolmente constatabile la scrupolosa e mai casuale scelta dei termini attraverso i quali riferirsi ai diritti ed alle libertà.

Ed infatti, l’impianto costituzionale e le definizioni afferenti alla libertà ed ai diritti lasciano intendere quanto ai Costituenti premesse affermare inequivocabilmente che la libertà fosse innata nella persona e che essa debba naturalmente, ma anche necessariamente, essere riconosciuta, percepita e garantita nelle disparate accezioni e manifestazioni che la caratterizzano, cosicché se ne possa avvantaggiare ogni individuo.

La libertà, di conseguenza, non può mai rappresentare una concessione, bensì essa costituisce rigorosamente una peculiarità della persona umana, in favore della quale va affermata ed alla quale va assicurata.

Questo emerge in maniera inequivocabile dalla Costituzione, la quale già nell’articolo 2 reca il chiaro riferimento al dovere della Repubblica di “riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo”.

I Legislatori Costituenti, oltre a quanto sopra, percepirono l’esigenza di dedicare un’apposita disposizione alla libertà personale degli individui che nell’art. 13 della Carta viene ribadita e rinforzata sancendone la inviolabilità.

Insomma, le libertà, qualsivoglia ne sia il profilo, assurgono al rango di diritti inviolabili dell’uomo.

Ancor più precisamente, possiamo definire la libertà di ogni individuo, come il diritto di questi a pensare ed agire come meglio crede (sia uti socius che uti singulus ).

Da ciò deriva che anche manifestare liberamente il proprio pensiero, esprimere la propria opinione, le proprie idee politiche, religiose, sociali ecc. attraverso qualsiasi mezzo a disposizione, sia da ritenersi assolutamente connaturale ad ogni persona.

Non vi è dubbio che quanto sopra rappresenti uno dei principi più importanti collocato a fondamento di un sistema democratico.

Ciò posto ed affermato con vigore, va anche chiarito con altrettanta efficacia che esercitare le proprie libertà non può confondersi con la licenza di poter fare tutto ciò che si voglia travalicando ogni regola, non solo etica, ma pure e soprattutto sociale.

Gli uomini, difatti, sono destinati a vivere in articolate comunità, all’interno delle quali si autodeterminano attraverso precetti, spesso garantiti da sanzioni da comminare a chi li viola.

Sono convinto, però, che se da un lato la maggior forma di amore per la libertà sia quella di rivendicare il diritto alla propria, ad ogni costo ed essendo disposti a battersi per essa, dall’altro lato, ciò non sia sufficiente.

A mio modo di vedere, invero, credere e propugnare la libertà significa rispettare, altresì, quella altrui, contenendosi nel perimetro della propria, senza mai rischiare di invadere quello degli altri.

Le società umane, senza dubbio, necessitano con sempre maggior urgenza che la libertà venga connotata non solo di soggettività, bensì anche di oggettività, riconoscendone l’universalità.

Solo in quel caso i consessi umani potranno perseguire il loro legittimi fini ed aspirazioni senza correre il rischio di cedere ad una interpretazione troppo pericolosamente superficiale del concetto di libertà.

Del resto, come ho in precedenza accennato, gli uomini e le società riconoscono il diritto di essere liberi quale valore insito nella loro natura.

Per quanto oggi, almeno nelle società democratiche, questo possa apparire come un valore imprescindibile o addirittura un assioma inscindibile dal concetto di umana convivenza, in passato non è stato sempre così.

Basti meditare sulle gravi repressioni, costrizioni, censure e restrizioni esercitate per lo più in passato ma, sventuratamente, ancor oggi perpetrate da alcuni governi o regimi ai danni degli oppositori o di coloro che semplicemente dissentono.

Le libertà, insomma, sotto ogni forma, specie ed aspetto in cui siano state caldeggiate non sono andate esenti da contrasti molto spesso violenti, prima di affermarsi come tali.

Beneficiare delle libertà, tuttavia, non significa poterne abusare.

Come ogni diritto, anche fondamentale, queste vengono delimitate non appena entra in campo la libertà o il diritto di qualcun’altra persona ovvero laddove debbano garantirsi valori di portata ancora maggiore.

Quanto sopra rappresenta la ragione per la quale molte costituzioni stabiliscono inevitabilmente alcuni limiti giuridici alle libertà che esse stesse assicurano.

Le parole di un grande giurista, storico, filosofo, ma soprattutto di un attento e curioso investigatore delle società umane, mi sembrano appropriate per concludere queste brevi riflessioni, con l’auspicio che esse possano suscitare un dibattito intorno ad una tematica mai troppo sviscerata.

Ai miei occhi le società umane, come gli individui, diventano qualcosa solo grazie alla libertà” (Alexis De Tocqueville).

Rolando Grossi