POLEMICHE SUI ROM, I POLITICI A LEZIONE DI ANTROPOLOGIA?

In questi giorni i vari media hanno dato ampio risalto alla notizia secondo la quale l’attuale ministro dell’interno ha dichiarato attraverso una radio privata la sua intenzione di effettuare un censimento per accertare la reale entità della presenza sul nostro territorio delle popolazioni nomadi di etnia rom e sinti al fine eventualmente di allontanare poi i cosiddetti clandestini irregolari e provvedere a conferire ai comunitari e a coloro che hanno diritto a soggiornare sul nostro territorio idonei alloggiamenti o quanto possa essere necessario a chi ha mantenuto nel nomadismo il proprio principio esistenziale. Tali gruppi etnici vengono da sempre volgarmente denominati zingari. Molti ricorderanno, se con qualche anno sulle spalle, le raccomandazioni materne a non allontanarsi dalla sua vista perché avrebbe potuto, appunto essere preda dei suddetti. A parte la nota canzone della Zanicchi o le scene di 007 dalla Russia con amore ben pochi di noi hanno approfondito la loro conoscenza di quelle popolazioni limitandosi ad osservarne l’abbigliamento per lo più stravagante ed evitando accuratamente di imbattervisi date le pressanti e petulanti richieste di danaro di cui sono capaci. La reazione del loro portavoce a quanto per altro non ufficialmente espresso dal ministro, è stata a dir poco assai violenta riportandosi addirittura al dettato costituzionale con vasta eco delle sinistre, perché? Molti anni fa accingendomi a tornare in centro dalla sede della regione Lazio di via della Pisana, dove non ricordo più cosa ci andai a fare, ricevetti la richiesta di un passaggio da parte di un signore che mi parve di poter ascoltare il quale lamentava moltissimo la difficoltà incontrata per raggiungere quegli uffici con i mezzi pubblici e la conseguente problematica per il ritorno. Gli aprii lo sportello e lo feci entrare col motore già in moto. Quel signore si presentò, era il professore titolare della cattedra di Antropologia Culturale della facoltà di lettere all’università di Roma la Sapienza il quale mi disse che aveva appena ultimato di stilare un’ampia monografia su quelle popolazioni pseudo nomadi e di questo aveva appunto relazionato gli uffici pubblici competenti. Mi incuriosii, chiesi la lunghezza del tragitto ed il traffico mi permise di fruire di una vera e propria lezione sull’argomento. Alle mie domande certamente per lui banali mi fu risposto con estrema precisione. Mi disse così che le popolazioni rom ritengono di costituire una razza, si proprio razza, superiore a tutte le altre per diritto di nascita. Tale convincimento è incontrovertibile e da questa concezione non intendono in alcun modo recedere facendone derivare poi un comportamento che ingenera nella attuale nostra concezione del modus vivendi nella nostra società ampio sconcerto e disappunto. Ciò perché, ritenendosi appunto razza superiore, considerano il resto di tutta la popolazione solo come fornitrice di tutto quanto occorra loro senza avvertire la necessità di chiedere e men che meno pagare. Insomma hanno, secondo loro,pieno diritto di appropriarsi direttamente,se necessario anche con l’uso della forza, di tutto ciò che noi possediamo se occorre loro. Quindi il concetto di lavoro come lo intendiamo noi non esiste per loro se non inteso nel senso di istallare impianti mobili di divertimento (giostre). Al mio sbigottimento aggiungeva che non hanno alcun senso di rispetto per le regole di vita fissate per la nostra società dai codici e dalle leggi rispettando solamente poche regole tramandate dagli usi, ma solo nei rapporti tra loro stessi, poiché non vi sono rapporti regolabili con noi inferiori. In questa ottica, che mi asseriva granitica, non esisteva alcuna possibilità che questi soggetti potessero integrarsi minimamente e che se lo avessero detto per convenienza ciò non avrebbe mai potuto verificarsi. Le usanze sono così strampalate, aggiungeva, da indurre spesso in errore i nostri inquirenti che, indagando sui frequenti incendi che avvengono nelle zone adibite ad accampamento nella quale si è svolta l’esistenza del nucleo familiare, ne cercano i responsabili ed i motivi del comportamento. Ebbene il veicolo abitativo o la baracca, alla morte del capogruppo, deve venir dato alle fiamme con tutto quanto non di valore contiene comprese le persone. Non si tratta mai quindi di azioni di ostilità tra famiglia e famiglia poiché vivono in stretta collaborazione nell’organizzare tra loro l’attività furtiva, la prostituzione minorile, a quanto mi diceva dai dieci-dodici anni, il taccheggio e tutta l’altra attività criminosa peri cui sono conosciuti. Conclusi chiedendo se potevano essere ritenuti una sorta di cellule tumorali della nostra attuale società, accommiatandosi sorrise asserendo lievemente con la testa. Quella lezione di Antropologia chissà se l’hanno letta alcuni nostri zelanti politici tanto propensi all’integrazione ed alla coesistenza? Chissà se sanno che alcuni elementi, pur essendo naturali, non sono miscelabili ed altri se miscelati esplodono? Chissà qual è il livello di conoscenza di alcuni personaggi che tranciano sentenze ed esprimono postulati su argomenti alla base dei quali vi è una concezione di una superficialità impensabile in chi poi prende per noi tutti le decisioni. Insomma cosa fare di queste persone che richiedono spazi loro destinati per vivere si a modo loro ma alle nostre spalle? Diamoglieli ma dove vogliamo noi e dove se vogliono mangiare devono coltivare campi e allevare pecore. Dove? Cosa ruberebbero tutti insieme a Montecristo, non c’è nessuno. Chissà se lontani e tra loro potrebbero rivedere le granitiche concezioni di superiorità piegandosi alle dure leggi dell’esistenza. Queste genti, se le si vogliono integrare, necessitano di un lungo periodo nel quale, tra loro, evolvano in autonomia e non vi è miglior modo che l’esperienza sudata giorno per giorno.

G.R.M.