CINQUE GIORNI A PARIGI, DALLA MATTINA DOPO L’ATTENTATO ALLA CATTURA DI ABAAOUD
Nella notte di Venerdì 13 novembre Parigi, e poi il mondo intero, precipita in un incubo, la redazione di Ballarò mi manda immediatamente là, nella notte tra venerdì e sabato mi presento al check-in dell’aeroporto di Fiumicino: “Dove va signore?” Mi ha detto allegramente l’hostess. Quando le ho risposto “Parigi” si è bloccata per un lungo momento, poi ho visto i suoi occhi inumidirsi ed ho sentito i miei fare lo stesso. Poi non ci siamo detti più niente. Mi ha preso la valigia, mi ha dato la carta d’imbarco e mi ha guardato andare via come si guarda uno che va in una zona di guerra.
“Guerra” ha detto Papa Francesco e di “guerra” ha parlato Hollande. I Francesi ne sono consapevoli. Ho chiesto in giro “hai paura”, mi è stato risposto “certo che ho paura”, secondo molti “questo è solo l’inizio” e non un caso isolato di terrorismo. Le strade di Parigi infatti sono, anche tuttora, semivuote. I caffè ed i boulevards, che fino a giovedì 12 novembre brulicavano di persone, sembrano semi abbandonati. In metro ci sono la metà delle persone che ci sono di solito e tutti si guardano intorno con sospetto. Qualunque rumore o accadimento inaspettato genera allarme e panico. Lo “stato d’urgenza” proclamato da Hollande permette alla polizia di irrompere ovunque, in qualsiasi ora del giorno e della notte senza preavviso. Ho personalmente partecipato ad una di queste azioni condotta alle 11 di sera in casa di due ragazzi in Rue Marie et Luise: la loro finestra domina, dal quarto piano, l’incrocio dove si trovano il Le Carillon e Le Petit Cambodge, due dei bistrot colpiti dalla follia dei terroristi dove hanno trovato la morte 12 persone. La polizia cerca video e testimonianze.
C’è anche però la Parigi che si ribella: ogni giorno centinaia di persone si radunano in Place de la Republique per affermare la loro volontà di riappropiarsi dei luoghi pubblichi, di non cedere alla paura. Qui si canta, si accendono candele, si lasciano fiori, si espongono striscioni di solidarietà alle vittime. Alcuni ragazzi girano con un cartello, sopra c’è scritto “free hugs” (abbraccio libero) e offrono un abbraccio consolatorio a chiunque abbia un momentaneo bisogno di conforto, magari dopo aver visto le vetrine crivellate di colpi del “Casa Nostra” in Rue de la fontaine au roi, a poche decine di metri da lì.
Quello che impressiona di più è la fierezza e compattezza del popolo francese. La sera stessa dell’attacco in rete girava l’hashtag #PorteOuverte (porte aperte) con il quale i parigini comunicavano ai concittadini che non potevano, o non se la sentivano di tornare a casa che in quel posto avrebbero trovato un porto sicuro dove approdare. Dalle finestra si gettavano lenzuoli per aiutare a coprire i corpi delle vittime. I tassisti si sono messi a disposizione per portare i feriti agli ospedali. Me lo racconta il tassista che mi ha portato verso il Bataclan, lui era uno di quelli.
Questa fierezza è la stessa che anima investigatori e forze dell’ordine nell’incessante ricerca dei colpevoli. Si percepisce in ogni gruppo di poliziotti o soldati, armati fino ai denti e protetti da giubbotto antiproiettile, che si incontra in città. Si percepisce nel discorso di Hollande che ha invocato una coalizione contro Daesh, Il modo in cui è chiamato l’ISIS in ambienti governativi e nei media internazionali nonché nei paesi di lingua araba. Daesh è letteralmente un acronimo che in lingua araba sta per Al dawla al islamiya fi al Iraq wal Sham (che significa “Lo Stato islamico dell’Iraq e della grande Siria che corrisponde al Levante”), ma in arabo il termine ha un suono simile alle parole “calpestare e distruggere”. Viene quindi usato in senso denigratorio.
All’alba di mercoledì 18, mentre stavo tornando in aeroporto, la radio ci informa che quella determinazione sta già dando i suoi frutti: l’autostrada che sto percorrendo è bloccata perché passa nei pressi di Saint Denis, dove un covo dei terroristi è oggetto di una vera e propria azione di guerra. Lo scontro a fuoco si è protratto per ore. Colpi di Kalashnikov, di mitraglietta ed esplosioni. L’edificio è quasi sventrato, nell’assalto vengono catturati 7 terroristi mentre Abdelhamid Abaaoud, uno delle menti dell’attentato viene raggiunto da talmente tanti colpi che per riconoscerlo si procederà alla ricerca del DNA. I terroristi agiscono sotto l’effetto di una potente droga, un concentrato di eccitanti ed anfetamine che toglie completamente la paura e fa sentire immortali chiamato Captagon, che si vende a pochi centesimi a pillola. La cugina 26 Hasna, bionda e di “buona famiglia” come si sarebbe detto una volta, si lascia saltare in aria con addosso un gilet esplosivo. “Questo è solo l’inizio” dicono i francesi.
Parigi, Novembre 2015
Valerio Orsolini