Una proposta che, nell’era del web, richiamerà sicuramente una grande attenzione: fornire la propria carta di identità per iscriversi a tutti i Social. Basta con l’anonimato, con i falsi profili che tante spiacevoli sorprese possono provocare. Fermo restando il rispetto della libertà di espressione. La firma al disegno di legge, un solo articolo, la pone il Senatore di Forza Italia Nazario Pagano, politico consolidato, abruzzese.
Carta d’identità per sbarcare sui Social: Senatore Pagano da dove nasce l’idea? Da una sua vicenda personale o ritiene che sia anche un sentimento condiviso da altri?
Da un’esperienza personale: sono stato perseguitato e minacciato da un utente anonimo. Purtroppo, nonostante l’impegno della polizia postale, non si è mai saputo chi vi si celasse dietro. Accanto a questo episodio, ho sentito spesso testimonianze di cittadini vittime di reati a mezzo web: parlo di diffamazione, ma anche di reati ben più gravi, come lo stalking o le truffe. Per non parlare poi, della pedofilia: un reato odioso che colpisce i più piccoli e che si è enormemente amplificato grazie a internet. Così, un giorno ho pensato: se nella vita quotidiana, per soggiornare in hotel o salire su un aereo, devo fornire un documento di riconoscimento, perché deve essere diverso su internet?
Secondo lei chi dovrebbe andare a colpire nello specifico? E la legge sarà anche retroattiva?
La normativa non sarà retroattiva. Non si può chiedere agli hosting provider – le società che offrono servizi anche in ambito social – di rivedere i profili di tutti gli utenti. Sarebbe impossibile. Si può però chiedere loro di farlo con i nuovi iscritti. Per quanto riguarda i profili già attivi, è già previsto un meccanismo di difesa: attraverso la segnalazione online, chi insulta e minaccia viene sospeso direttamente dall’hosting. Per rispondere invece alla sua prima domanda, la risposta è: tutti coloro i quali commettono reati a mezzo internet. Ci tengo a sottolineare che la mia è una proposta liberale: chiunque potrà continuare a esprimersi in libertà anche usando un nickname, un nome falso. Se però commetterà un reato, la polizia potrà richiedere facilmente all’hosting a chi appartiene davvero quel profilo. Il sospetto reo potrà quindi essere processato e la vittima avere giustizia.
Per quale ragione si è aspettato così tanto tempo prima di intervenire? Per caso esiste una lobby che governa il web?
In realtà nel tempo si sono susseguiti disegni di legge volti a regolare il fenomeno. Il problema, a mio avviso, è che andavano o a colpire la libera espressione del pensiero oppure prevedevano delle semplici aggravanti a reati già esistenti. Noi abbiamo scelto invece di responsabilizzare le società che offrono il servizio, chiedendo loro, semplicemente, di verificare l’identità degli utenti.
Non credo esista una lobby: il web è così esteso da essere ingovernabile. Esistono semplicemente gruppi che hanno capito come controllare e gestire il consenso tramite la rete: che lo facciano, ma in modo lecito e senza colpire i diritti degli altri.
Come affrontano questo problema gli altri Paesi dell’Unione Europea?
A livello europeo c’è un grande dibattito sui limiti dei social network. In Germania, ad esempio, è stata approvata una legge molto severa per fermare hate speech e fake news. L’Unione Europea anche ha molto a cuore il fenomeno. A Bruxelles stanno lavorando affinché sia possibile obbligare i colossi social a contenere l’odio in rete. Intanto, è in arrivo proprio a livello europeo una legge che li obbligherà a rimuovere i contenuti che inneggiano al terrorismo. La mia proposta quindi, si inserisce nel solco di una problematica globale che presto sarà necessario affrontare armonizzando la legislazione di tutti i Paesi membri.
Sabrina Trombetti