La vita, alcune volte, è come un pallone da calcio: prende traiettorie imprevedibili, impensabili, e repentine. Vai deciso a calciare per far gol ed invece la palla finisce in tribuna. È successo a tutti anche ai grandi campioni. L’importante è non abbattersi e continuare la partita fino al 90esimo. Nel calcio come nella vita, imparando dai propri sbagli, e rialzandosi più forti. Questa è la nostra di Fabrizio Maiello, giovane promessa del Monza a cui un infortunio pregiudico’ una brillante carriera da professionista e gli fece prendere la strada per”lo spogliatoio sbagliato”. Poi, come una volta, fu proprio il pallone a riportarlo alla realtà, alla libertà, alla gioia di vivere, a un messaggio positivo da consegnare ai giovani: finalmente quella palla è entrata in rete.
Fabrizio cos’è per te il calcio? Cosa ha significato nella tua vita?
Il calcio per me è stato ed è tutto. Sono nato con il pallone tra i piedi e non lo ho mai abbandonato. Da napoletano purosangue avevo grandi abilità tecniche e di palleggio, per questo mi soprannominavano “il brasiliano”. Mi ispiravo a Franco Causio e Claudio Sala, due veri fenomeni. La squadra dove giocavo, il Monza, era l’ideale per spiccare il volo, poi un bruttissimo incidente al ginocchio mi costrinse al ritiro. Così si spense la luce e per me iniziò il buio.
Senza il calcio quale era l’alternativa? In fondo era molto giovane?
Non avevo considerato un’alternativa al calcio. Per me era tutto. Ammetto di aver fatto un grandissimo sbaglio puntando tutto sul pallone e trascurando gli studi. Per anni avevo solo pensato agli allenamenti, alle partite, al mio futuro magari in Serie A. Quel maledetto infortunio cambiò tutto, anche il mio modo di pensare. Mi ritrovai in poco tempo in compagnia di persone che non avevo mai frequentato né voluto conoscere. Da qui in poi inizia la mia maledizione, la mia reclusione in carcere, e la percezione di dover riniziare tutto da capo, proprio quando finisce il primo tempo di una partita.
Dove è iniziato il suo secondo tempo?
Anche in carcere non ho mai lasciato il pallone, durante le partite che giocavamo all’interno dell’istituto penitenziario, anche solo a mezzo servizio, riuscivo a vincere da solo. Visto che ero di origini partenopee e tifavo Napoli il mio soprannome fu scontato “Maradona”. Ricordo con grandissima gioia i miei incontri con i ragazzi cosiddetti “difficili”, avevo una strategia vincente: prima portavo un pallone, poi palleggiavo per qualche minuto, alla fine gli raccontavo la mia storia. Durante uno di questi appuntamenti incontrai l’attuale selezionatrice della Nazionale femminile di calcio, Milenia Bertolini. Mi regalò una maglietta azzurra che ancora conservo con tanta cura. Mi farebbe piacere incontrarla, dopo tanti anni, per farle i complimenti dell’ottimo risultato ai recenti mondiali. Attualmente lavoro come giardiniere a Reggio Emilia, ma giro molto per tutta l’Italia per importanti iniziative sportive e di beneficenza.
Tanti record di palleggi, un grande impegno nel sociale ,e proprio in questi giorni è impegnato in un nuovissimo progetto che sta riscuotendo un grande successo su facebook…
Sono entrato nel Guinness dei primati per aver palleggiato, senza interruzione, per ben 5 kilometri. Ho il record anche di palleggi camminando all’indietro. In questi giorni, a causa dell’emergenza Coronavirus che ci costringe a stare a casa, ho coniugato il calcio all’altra mia grande passione, la cucina. Il nuovo progetto si chiama “Football Food”, nasce da un’idea del giornalista Giuseppe Leanza, fotoreporter di Scatto.org. Ora i vecchi problemi non solo li palleggio…li cucino e me li mangio con gusto e gioia di vivere…
Redazione TheEnvoy