L’UNIVERSITA’ NEL MERIDIONE D’ITALIA OGGI, ANALISI E CONFRONTI

MINERVA-ATENAE’ stata pubblicata su Il Mattino (il 7.12.2015) l’ennesima analisi che riporta come le Università del Sud detengano la maglia nera rispetto a quelle del Nord. In quelle del Sud si registra un calo significativo di numero di immatricolati, con il record del -33,4% in Basilicata. Rispetto a questi numeri impietosi vengono fornite varie giustificazioni, molte delle quali condivisibili, che fanno riferimento ad aspetti tecnici essenzialmente strutturali. Su stesso giornale viene poi riportata una intervista con il Rettore della Federico II, Gaetano Manfredi, che mette correttamente in evidenza come delle carenze strutturali penalizzino le Università del Sud rispetto a quelle del Nord. Nel rispondere ad analisi del Rettore, intanto concordo con quanto sostiene (La Repubblica, Napoli, 12.12.15) l’ultra ottuagenario, saggio, Ciriaco De Mita in merito al silenzio assordante delle Università che dovrebbero essere “luoghi della conoscenza e della capacità di analisi”. De Mita con piena ragione sostiene anche che “il silenzio del mondo del sapere è la ragione che ci fa rischiare di non uscire dalla crisi”. Ciò detto, ritengo che l’analisi del Rettore sulle performaces delle Università meridionali, sia assolutamente parziale, perché quanto da lui indicato costituisce certo un problema, ma non affronta altri problemi di cui la responsabilità, secondo il mio punto di vista, è interamente legata alla difesa degli interessi corporativi dei Professori Universitari. Prima di invocare principi validissimi a livello generale, bisognerebbe guardare in casa propria e fare un poco di autocritica, con relativa assunzione di responsabilità, e conseguenti azioni da mettere in campo. La sola spiegazione dei sottofinanziamenti, anche se contiene indubbiamente elementi di verità, penso sia assolutamente riduttiva, con l’aggravio di una riproposizione del solito vittimismo meridionalistico che non risolve i problemi culturali di fondo che finora non si sono voluti affrontare e che sono, secondo me, la causa principale della pessima performance delle Università meridionali. Se non si vuole prendere coscienza che per invertire la rotta bisogna prima di tutto rompere le logiche corporative, clientelari e quindi di completa chiusura rispetto all’innovazione e alla premialità del merito senza sconti per nessuno, non si esce dalla situazione di stagnazione. In particolare rinnovo l’invito al nostro valente, giovane, Rettore Manfredi, ora anche Presidente dei Rettori Italiani (CRUI), e quindi con un peso notevole a livello nazionale, a liberare le risorse giovani che esistono nell’Ateneo, liberalizzando la mobilità interna dei Docenti e Ricercatori, svincolandola del tutto dalla concessione delle risorse (e quindi delle promozioni) legate ai raggruppamenti scientifico-disciplinari, vero cancro di tutto il sistema universitario Italiano. La causa della poco esaltante classifica delle Università meridionali non è solo una questione di fondi, o di contesto economico territoriale effettivamente svantaggiato. L’Università – così come è oggi – è essa stessa una parte del problema, e dunque non vittima, mentre potrebbe invece contribuire a introdurre elementi propulsivi di cambiamento e di sviluppo, a patto però di cominciare a guardare dentro se stessa in maniera non autoconsolatoria e più lucidamente autocritica. Praticando, per esempio, a) obiettivi e modalità di autovalutazione (della didattica e della ricerca) capaci di far emergere le questioni strutturali vere e decisive, quali carenza di attrattività internazionale, per studenti e ricercatori (l’internazionalizzazione non si può ridurre ad uno slogan, bisogna operare per realizzarla); b) la distinzione di una Teaching University (Laurea Triennale che dovrebbe essere Quadriennale) rispetto alla Research University; c) l’accesso al Dottorato di Ricerca sulla base di un test internazionale (vedi modello GRE degli USA), aperto ad Italiani e stranieri, senza alcun vincolo, laddove prima dei Dottorandi vanno selezionati i Tutori su basi di merito; d) l’eliminazione dei raggruppamenti scientifico disciplinari; e) la valutazione (costi/benefici) del merito introducendo un premio che investa sia la progressione stipendiale sia il finanziamento della ricerca; g) una offerta didattica, resa solo più pletorica e sconclusionata da una applicazione corporativa delle riforme, conformistica e lontana, spesso, da una reale incidenza sul territorio e sul relativo apparato produttivo e mercato del lavoro; h) una valutazione ex post degli esiti scientifici e delle ricadute di lunghe e dispendiose attività di ricerca, sviluppata in tanti consorzi, centri di competenza e altro (a quando la loro eliminazione?), ai quali pure non sono mancate generose risorse pubbliche. In altri termini, bisognerebbe uscire una buona volta da pratiche formalistiche di valutazione che servono solo a redigere statistiche e classifiche falsificanti ed elusive dei problemi veri che impediscono lo sviluppo del merito scientifico e delle energie reali dei capaci, giovani e meno giovani, e di restituire all’Università il protagonismo nelle politiche di sviluppo, fuori da logiche protezionistiche. Utilizzi, il Rettore del più importante Ateneo del Mezzogiorno e Presidente della CRUI, tutto il suo peso a livello nazionale per mettere in campo con determinazione una urgente rivisitazione delle politiche del governo per il sistema universitario locale e nazionale ed operi rompendo “equilibri” baronali a presidio di interessi corporativi consolidati, che spiegano in tutta la sua nuda realtà le classifiche di demerito delle Università meridionali.

Roma, 30/12/2015

Prof. Benedetto De Vivo

Università di Napoli Federico II e Adjunct Prof. Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA