L’ISTITUTO GIURIDICO DEL “PATRIZIATO SVIZZERO” ED ALTRI ESEMPI DI DOMINII COLLETTIVI

Patriziato (in tedesco Patriziat, in francese Bourgeoisie) è il termine con cui in Svizzera si identifica un Ente di diritto pubblico che gestisce delle proprietà collettive o beni indivisi.

Tutta la materia è disciplinata da una specifica normativa, le principali basi legali sulle quali si fonda l’istituzione del Patriziato, partendo dal Canton Ticino, dopo la Costituzione Federale Elvetica, sono la Legge organica patriziale (LOP, del 28 aprile 1992) il Regolamento d’applicazione della Legge organica patriziale (RALOP, dell’11 ottobre 1994) ed altre norme sulla gestione finanziaria e contabile dei Patriziati.

La Legge organica patriziale definisce il Patriziato come una Corporazione o Ente di diritto pubblico, autonomo, nei limiti stabiliti dalla Costituzione Elvetica e dalle Leggi speciali, proprietaria di beni d’uso comune da conservare e utilizzare con spirito viciniale a favore della comunità che svolge un’attività d’interesse pubblico, facendo leva sulle proprie risorse e che collabora con il Cantone e i Comuni nella gestione e nella manutenzione del territorio e dei suoi beni.

Compiti – Il Patriziato ha il compito di organizzare il buon governo dei beni patriziali, di garantirne l’uso pubblico e di valorizzare le tradizioni locali, in particolare si occupa di: curare la conservazione, il miglioramento e la gestione razionale dei boschi e dei beni agricoli, assicurare il buon governo dei beni destinati anche all’uso sociale, promuovere la realizzazione di nuove opere, come il miglioramento o la creazione di accessi stradali o pedonali, piazze di riposo, posteggi, impianti per lo svago e lo sport e, in secondo luogo, l’edificazione di strutture a scopi abitativi, di assicurare l’efficienza degli impianti di uso pubblico e promuoverne di nuovi, promuovere la creazione, in proprio o con altri enti, di organismi e squadre specializzate per la cura del pascolo e del bosco, per il taglio o il commercio del legname, assicurare e regolare l’esercizio del diritto di legnamare, stramare e pascolare nei boschi patriziali provvedendo anche ad annullare tali diritti quando non sono più esercitati, riscattare eventuali diritti di pascolo, prepascolo e postpascolo, e in genere gestire i diritti di godimento sui beni patriziali, integrare le aree boschive e di pascolo patriziali con l’acquisizione di aree abbandonate, o in procinto di esserlo, al piano e in montagna, valorizzare i beni culturali. Fondamentali per la conservazione del patrimonio culturale e paesaggistico locale, i Patriziati si occupano infatti della valorizzazione economica e sociale del 70% del territorio ticinese in collaborazione con gli altri Enti pubblici.

Dimensioni – Nel solo Canton Ticino sono attivi ben 255 Patriziati, su 111 Comuni, che fanno sì che il Patriziato ticinese sia di gran lunga il più cospicuo proprietario di terreni del Cantone, superando lo Stato federale e la Chiesa.

Prendendo già solo l’esempio specifico di Lugano, qui i Patriziati sono proprietari di circa il 75% della totalità dei boschi ticinesi, che complessivamente coprono una superficie approssimativa di 140.000 ettari. Considerando che il Cantone ha una superficie complessiva di 281.246 ettari, se ne deduce che gli attuali Patriziati posseggono circa il 50% dell’intero territorio cantonale, e tramandano il titolo per discendenza, hanno antichi stemmi di famiglia e sono i custodi della tradizione locale. Regole molto severe impediscono che i terreni patriziali possano cambiare destinazione d’uso facilmente. E’ vietato, per esempio, vendere il terreno del Patriziato. Secondo le Leggi federali un bosco patriziale non può diventare bosco privato e nel caso si intenda disboscare i vincoli diventano ancor più severi in virtù del fatto che le Leggi federali svizzere sanciscono che la superficie boschiva elvetica possa aumentare, ma mai diminuire.

Il Patriziato restituisce alla comunità i beni che ha in gestione mediante la concessione di servizi, spesso gratuiti, ma non sempre, quali per esempio il diritto di godimento dei beni boschivi. Un esempio di diritto di godimento è quello della legna da ardere, che viene distribuita a chi ne faccia richiesta. Tali diritti vengono esercitati per “Focolari”, ossia possono goderne gli uomini che vivono soli, le famiglie unite in matrimonio e le donne che anche da sposate mantengono il rango di Patrizie. Tale norma impedisce che i beni del Patriziato vengano monopolizzati da enti, in particolare aziende, che potrebbero usufruirne facendone lievitare il prezzo in modo da renderne inaccessibile la fruibilità da parte della comunità.

I dati raccolti dimostrano che i Patriziati sono molto importanti in Svizzera e specie in Ticino, presenti in moltissimi Comuni, anche in quelli piccoli di montagna, oggi possono essere considerati un fenomeno sociologico tipicamente elvetico ed hanno portato a costituire anche una specie di “Borghesia Aristocratica” a tutti gli effetti per cui i cittadini Patrizi o dei Patriziati sono una nobiltà de facto. Gli Asburgo d’Austria, quali sovrani del Lombardo-Veneto, nell’800 riconobbero il carattere nobiliare delle famiglie patrizie del confinante cantone Ticino. È evidente che il Patriziato non è solo una Ente di diritto pubblico come stabilisce la Legge cantonale del 1992, ma a livello privato, è soprattutto uno status prestigioso per le famiglie che hanno questo privilegio. Lo stato di Patrizio, per legge, si acquisisce per filiazione, per matrimonio o cooptazione dell’Assemblea dei Patrizi, dopo molti anni di residenza nel Comune di domicilio.

È quindi una specificità tutta elvetica di gestione dei beni pubblici (noi in Italia diremmo demaniali) amministrati ancora secondo una lunga e consolidata tradizione. Il Cantone non ha alcuna ingerenza nella gestione del Patriziato, anche perché quest’ultimi nacquero, storicamente, circa 700 anni prima del Cantone, di conseguenza è un dato storico evidente che negli ultimi tre quarti di millennio, è stato solo il Patriziato a gestire l’amministrazione della cosa pubblica in alcune zone della Svizzera.

I Patriziati di Lugano organizzano inoltre eventi turistico-enogastronomici come “PatriziAmo” nel centro città a Lugano stessa, in concomitanza con la Festa d’Autunno, per presentare tutte le loro varie attività, attraverso degustazioni e mostre, che derivano dalla proprietà dei terreni presenti su tutto quel vasto territorio che va dai quartieri periferici ai singoli villaggi sino ai Monti, caratterizzato da pascoli e praterie montane, boschi, sorgenti e corsi d’acqua, dalla ricca fauna selvatica ed dal cospicuo tesoro silvo-forestale e botanico che costitutisce il cd. “polmone verde di Lugano”.

Il Patriziato ha degli Organi di governo interno, quali l’Assemblea e l’Ufficio Patriziale. L’Ufficio Patriziale amministra il Patriziato, la sua elezione ha luogo ogni quattro anni, in aprile. L’Assemblea Patriziale è la riunione degli aventi diritto di voto in materia, in genere la convocazione dell’Assemblea Patriziale avviene annualmente, su chiamata dell’Ufficio Patriziale.

I Patriziati ticinesi sono riuniti nell’Alleanza Patriziale Ticinese (ALPA), che è l’Ente mantello nella forma di associazione di diritto privato sorta nel 1938 che in Ticino raggruppa più di 200 Patriziati, l’Associazione Patrizi Chiassesi e la Corporazione Patrizi di Mendrisio.

Quasi sempre il Patriziato è incorporato nel Comune Patriziale, anch’esso Collettività di diritto pubblico, i cui membri possiedono la medesima “Attinenza” di una località identificabile come la Cittadinanza di origine; il Comune Patriziale amministra in genere i propri beni (beni patriziali), purché tale compito non sia demandato a un Comune politico o ad altro ente. Il Comune Patriziale si distingue da altre istituzioni locali quali il Comune vero e proprio identico al nostro Comune in Italia (politico o degli abitanti) e il Comune parrocchiale. Le sue denominazioni variano a seconda della Regione e del Cantone: bourgeoisie (basso Vallese e Friburgo), commune bourgeoise (Giura), Bürgergemeinde (termine generico nei diversi cant. germanofoni), Burgergemeinde (alto Vallese e Berna), Ortsbürgergemeinde (Uri e Argovia), Ortsgemeinde (San Gallo e Turgovia), vischnanca burgaisa (Grigioni) e Tagwen (Glarona). Il Comune Patriziale, che nel Ticino è chiamato Patriziato e trae origine dall’antica Vicinanza o Vicinia, di cui è il successore giuridico, non esiste nei Cantoni Ginevra, Neuchâtel, Nidvaldo, Svitto e Vaud; il Giura bernese e il Canton Giura conoscono la Commune mixte, una forma mista fra Comune politico e patriziale.

I diversi tipi di Comune Patriziale presentano forti differenze sul piano dell’organizzazione, delle competenze e delle attività, mentre in molte località i compiti esecutivi sono stati trasferiti al Comune politico, altrove, e soprattutto nelle città, i Patriziati esercitano il diritto all’autogestione e sono dotati di un proprio organo esecutivo (a Berna e Basilea perfino di un parlamento). Per tradizione gli abitanti originari di città e villaggi avevano diritti sui boschi e altri terreni comuni e non volevano spartire tali diritti con i “nuovi cittadini” cioè quelli di recente immigrazione.

La Costituzione cantonale del 1830 prevedeva due categorie di cittadinanza, quella dei “Patrizi” e quella degli “Attinenti”. Gli inizi del Comune moderno risalgono alla Costituzione Federale Elvetica del 1874 che concesse a tutti i Cittadini Svizzeri domiciliati in un Comune i diritti politici a livello sia comunale che cantonale, sottraendo così al Comune Patriziale la sua funzione di corpo elettorale. Venne così creata la moderna “Cittadinanza Svizzera” nazionale e uguale per tutti i cittadini a pieno titolo dimoranti in un Comune politico, estesa anche per i “nuovi cittadini”, divenuti di diritto titolari della più antica “Attinenza Comunale”.

Con la Repubblica Federale Elvetica infatti fu trovata una soluzione di compromesso, sostanzialmente ancora esistente: da una parte c’è il “Comune politico o degli abitanti”, che accoglie tutti i dimoranti, quindi l’insieme dei Cittadini domiciliati, all’interno del quale vengono esercitati i diritti politici, mentre dall’altra parte l’utilizzo dei beni comuni è rimasto riservato agli “Attinenti locali” di antica origine nei luoghi di attinenza (Patrizi), riuniti appunto nel Comune Patriziale. Ma l’istituzione patriziale in quanto tale, tuttavia, non è mai stata messa in discussione, e ciò potrebbe dipendere soprattutto dal fatto che il Comune Patriziale, utilizzando i propri beni, continuò a sostenere i costi dell’Assistenza pubblica, poi divenuta gradualmente di competenza dello Stato, ed oggi partecipata dal Comune Patriziale su basi volontarie, in molti casi, infatti, il Comune Patriziale opera nella sfera sociale, gestendo ospedali, case per anziani o ostelli per i giovani, assegnando borse di studio e assistendo disoccupati, disabili o tossicodipendenti, talvolta è anche impegnato in ambito culturale, ad esempio sostenendo biblioteche e musei. Per svolgere questi compiti, a volte riscuote imposte oppure utilizza gli interessi del proprio patrimonio.

Poche località (ad esempio la città di Lucerna) hanno di recente avviato la fusione fra Comune Patriziale e politico.

In alcuni Cantoni ancora oggi però, spetta al Comune Patriziale concedere la cosiddetta “Attinenza Comunale o locale” (che esiste solo in Svizzera), molto diversa dal moderno concetto giuridico di cittadinanza nazionale, essa è una indicazione certificata del luogo di origine della famiglia apposta obbligatoriamente negli atti di nascita, nei documenti e nel passaporto, senza la quale è impossibile acquisire il diritto di Cittadinanza Svizzera. Nei rapporti fra Comune Patriziale e politico hanno svolto un ruolo importante i beni comuni. Se ad amministrarli anticamente provvedeva soltanto il Comune Patriziale, il Comune politico dipendeva da quest’ultimo; la piena autonomia del Comune politico si ebbe soltanto con la suddivisione del patrimonio comune in beni puramente patriziali e in altri utili alla collettività. Nella città di Berna, ad esempio, il Comune moderno ottenne il diritto di riscuotere imposte solo dopo la spartizione patrimoniale del 1852.

Esempi di uso comune delle terre riservato agli “originari” del luogo era diffuso in tutte le Alpi, residui se ne trovano in vari paesi del centro-Europa, affondano le loro radici nel Medioevo, in particolare in Italia abbiamo altri esempi di Dominii o Proprietà collettivi quali i Vicinia, gli Ademprivio, i Communalia, la Degagna, la Partecipanza agraria, le Regole ampezzane, la Magnifica Comunità di Fiemme, la Charta della Regola, la Regola Feudale, la Magnifica Comunità di Cadore, le Pieve.

Un esempio più generale e significativo di Dominio Collettivo si può ritrovare nel più antico istituto della Vicinia (pronunciato vicìnia o vicinìa) che è un termine antropologico utilizzato per indicare una comunità agraria di persone e/o famiglie abitanti nella medesima località che condividono interessi e beni di proprietà comune nelle regioni alpine e prealpine.

Il suo nome deriva da vicus-i (villaggio in latino), dal quale per analogia deriva l’Assemblea dei Villani, ovvero degli abitanti della villa. Queste assemblee prendevano anche nome di Vicinanze, Università agrarie o Terrazzani.

Era consuetudine ritenere “Vicini” gli abitanti originari di una località. Essi erano i discendenti di famiglie che abitavano ab immemore nella località. Agli “originari” si contrapponevano i “forestieri”.

Nel Medioevo la Vicinia era lo spazio dove si conduceva la vita quotidiana, spesso conteneva una chiesa, da cui prendeva il nome, e le botteghe, vi vivevano famiglie per intere generazioni, di indifferente ceto sociale, era un nucleo di densa solidarietà sociale, nelle sue assemblee dette anche “Assemblea dei Vicini” si discutevano e decidevano le regole. Fu un’istituzione socio-politico-amministrativa diffusa nella Lombardia orientale e Slavia Friulana, paragonabile con le “Almenden” (Patriziato svizzero), le “Università agricole” in Emilia Romagna, le “Università agrarie” nel Lazio, le “Regole del Cadore e dell’Ampezzano” o la “Magnifica Comunità di Fiemme”, nell’“Altopiano dei Sette Comuni” e altre Regole in Trentino. In Slavia Veneta erano chiamate “Sosednja”.

Il termine Vicinia assume però diversi significati a seconda del contesto,  se presente in ambiti urbani, come a Brescia o Bergamo, indicava una specie di comitato di quartiere, se presente in ambiti rurali aveva un significato simile all’odierna amministrazione comunale. La Vicinia di San Pancrazio a Bergamo, è quella che ha conservato un’abbondante documentazione che permette la ricostruzione di come si sia evoluta nel tempo questa forma di società urbana, a sostegno dei Comuni.

Altri esempi di Vicinie ancora esistenti sono quelle della Valcamonica e alcune Magnifiche Comunità come quelle di Cadore, Folgaria, Fiemme e Locarno.

Erano comunità completamente autonome dal punto di vista delle regole e della giurisdizione ed autosufficienti economicamente, che avevano lo scopo di gestire beni indivisi di assoluta importanza per la sopravvivenza della vita comunitaria (boschi, prati, pascoli, alpeggi e miniere, ma anche, generalmente, il mulino, la panetteria, l’osteria, il torchio e la segheria) che non dovevano cadere nelle mani di uno solo feudatario o ecclesiastico, che potesse usarli a scopo di interesse con tassazioni esose, facendo così peggiorare la vita di interi villaggi.

Un altro aspetto interessante è che in pieno medioevo queste comunità avevano degli organi di governo autonomi e tutti assolutamente elettivi, come l’Assemblea appunto (Arengo o Gran Arengo nelle Vicinie friulane), dove venivano discusse tutte le questioni riguardanti i beni indivisi e le prestazioni che le famiglie autoctone prestavano gratuitamente alla comunità, come il mantenimento delle strade e dei ponti; queste Assemblee si riunivano più volte all’anno, erano riservate esclusivamente agli uomini di maggiore età. Avevano i Consoli, eletti annualmente, controllati da uno o più Sindaci, ed altre figure di gestione come i Campari, sorta di guardiacaccia impiegati al controllo dei campi per la prevenzione di furti e altri reati connessi al mondo agricolo, ed i Saltari, guardaboschi incaricati dalla Vicinia di vigilare sui boschi e sui pascoli, prevenendo il bracconaggio ed il pascolo abusivo degli armenti. Curiosa è anche la figura del Contraddittore, figura istruita e incaricata di sostenere sempre e comunque un parere contrario a quello dei Consoli. Tutte le attività che la Vicinia svolgeva per il bene comune erano finanziate attraverso un sistema fiscale parallelo a quello ufficiale, che prevedeva principalmente tasse da pagarsi al momento dello sfruttamento di un bene indiviso, per esempio al momento di far legna nel bosco comune.

Gli storici ritengono che il fenomeno delle Vicinie cominciò a comparire nell’Italia settentrionale nell’ultimo secolo prima della caduta dell’Impero Romano d’Occidente come sostituto operativo alternativo ad uno stato imperiale ormai inesistente e ad autorità civili sempre più vicine al mondo militare che non a quello agricolo, fenomeno che poi andò spesso sincretizzandosi, specialmente in Lombardia, con l’antica istituzione clanica longobarda della “Fara”.

Le Vicinie dell’Italia Settentrionale erano molto chiuse, consideravano membri effettivi solamente coloro che, figli di Vicinali, avevano sposato un Capofuoco (Pater familias vicinale) o una giovane di Famiglia Vicinale. L’acquisizione dello status di membro Vicinale avveniva esclusivamente per via ereditaria. Erano esclusi tutti gli altri, fossero anch’essi nobili o ecclesiastici.

Fu solamente nel 1764 che una deliberazione della Serenissima Repubblica di Venezia costrinse le Vicinie camune, cadorine e friulane ad applicare maglie più larghe per l’adesione di nuovi membri all’istituzione, con residenza almeno ventennale. Con l’arrivo di Napoleone le Vicinie dell’Italia Settentrionale furono quasi tutte abolite, e vennero creati i Comuni, che andarono a incamerare tutti i beni indivisi fino ad allora appartenuti agli abitanti autoctoni. In Italia resistettero solamente le “Partecipanze Agrarie” dell’Emilia (Nonantola, San Giovanni in Persiceto, Cento e Pieve di Cento) e del Polesine, oltre a qualche sparuto caso in Piemonte; mentre solamente nel Canton Ticino e nel resto della Svizzera, dov’erano note come Nachbargemeinden, benché anch’essi sotto occupazione napoleonica, le Vicinie non solo non vennero abolite, ma acquisendo semplicemente il nuovo nome di Patriziati, denominazione che mantengono tutt’ora, rimasero come l’unica reale istituzione presente sul territorio, capace di dialogare con Cantoni ed autorità militari. Il Patriziato svizzero, identico alle più antiche Vicinie, continuò a svolgere tutti quei compiti per cui esisteva da secoli, mantenendo ancora i medesimi requisiti di adesione e ribadendo l’importanza chiave degli autoctoni nella gestione di una comunità, i cui beni chiave dovevano rimanere giocoforza in mano a coloro che da più tempo erano radicati in quelle terre. La differenza sostanziale tra Italia e Svizzera è che l’istituzione del Patriziato è tutelata e garantita esplicitamente sia dalla Costituzione Federale Elvetica che dalle Leggi cantonali, hanno piena autonomia statutaria, mentre l’istituzione napoleonica del Comune non è citata, ma solo presunta dalla Costituzione federale e cantonale. Tale accorgimento sancisce una maggior protezione per l’istituzione patriziale, poiché secondo le leggi elvetiche una modifica costituzionale è attuabile solamente attraverso un referendum popolare obbligatorio, mentre il Comune può, in via teorica, essere soppresso in qualsiasi momento. Già una ventina di anni fa, una proposta federale di accorpamento dei Patriziati ai Comuni trovò una tenace resistenza in tutta la Svizzera, tanto che il disegno di legge fu ritirato ancora prima di passare a referendum. Il Patriziato inoltre gode di un diritto privilegiato di ricorso presso il Tribunale Federale contro ogni possibile ingerenza federale o cantonale nelle sue decisioni. L’importanza dell’istituzione patriziale nella conservazione dei beni del patrimonio paesaggistico locale, di montagna soprattutto, è aumentata in seguito all’abbandono di gran parte del settore agricolo nonché di diversi villaggi, operando attraverso la valorizzazione dell’antico patrimonio culturale del mondo contadino ticinese e più generalmente svizzero, opera che viene svolta attraverso ristrutturazioni e restauri di antichi mulini, cascinali e malghe, la creazione di musei patriziali, la gestione e il mantenimento di sentieri, nonché lo sfrondamento delle zone boschive e la pulizia del sottobosco.

            In Italia in particolare, il settore è regolamentato attualmente dalla Legge n. 168 del 2017, “Norme in materia di domini collettivi”, ma in realtà non esistendo una definizione normativa dei “Domini Collettivi”, questi finiscono per indicare una situazione giuridica, tra cui sono pure compresi gli Usi Civici che però sono suddivisi tra competenze dei Comuni e delle Regioni (c.d. patrimonio civico o demanio civico), in cui una determinata estensione di terreno (di proprietà sia pubblica che privata) è oggetto di godimento da parte di una collettività determinata, abitualmente per uso agro-silvo-pastorale; questo comporta delle difficoltà di inquadramento sistematico dei domini collettivi, appartenenti originariamente ad una comunità, che derivano anche dall’irriducibilità dell’istituto all’attuale concezione privatistica basata sulla proprietà privata dei singoli e non collettiva.

I domini collettivi presenti in maniera molto dispersiva e sporadica in Italia, esercitano diritti di godimento sui terreni, hanno la gestione del patrimonio naturale, economico e culturale che coincide con la base territoriale della proprietà collettiva, ma sono dotati solo di personalità giuridica di diritto privato, anche se con autonomia statutaria, ed il Comune ha sempre su di loro un ingerenza e svolge di norma funzioni di amministrazione di tali terreni; in taluni casi le più antiche comunioni familiari esistenti nei territori montani continuano a godere e ad amministrare i loro beni in conformità dei loro statuti e consuetudini che siano state riconosciute dal diritto anteriore. L’articolo 3 della Legge n. 168 del 2017, definisce i beni collettivi (sui quali è imposto il vincolo paesaggistico) come quelli che costituiscono il patrimonio civico, evidenziandone la loro inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità e perpetua destinazione agro-silvo-pastorale.

La funzione concreta di queste Entità Collettive, apparentemente medievali in realtà attualissime-sicuramente molto più antiche dei più recenti Enti Locali pubblici non economici come Comuni e Regioni, finte istituzioni burocratiche e meramente impiegatizie e non vere comunità territoriali – in Italia viene svilita o ignorata dalla normativa e dalla politica che non forniscono adeguata protezione e stimolo affinché possano diventare i veri ed unici Enti di gestione economica diretta del territorio, più adeguati alle esigenze del futuro, in quanto Enti produttori e non solo consumatori di spesa pubblica, rispetto all’attuale inutile, pleonastica e inefficiente sopravvivenza di una pluralità di Comuni (in Italia più di 8.000) di cui molti definiti “Comuni polvere” per la loro irrilevanza demografica, alcuni addirittura con meno di 500 residenti. Tali Entità Collettive sarebbero degli organismi locali molto più efficienti, più funzionali ed operativi sia in funzione amministrativa che economica soprattutto se raccordati adeguatamente alla supervisione del Governo dello Stato centrale, tendendo a privilegiare quelle famiglie autoctone presenti stabilmente sul territorio, rendendole depositarie-custodi esclusive anche dal punto di vista dell’attaccamento, di quei beni paesaggistici e teritoriali, tramite un legame reale diretto tra una popolazione stanziale stabile ed una terra.

Il termine stesso “Vicinia” o “Patriziato”, indica la base di un rapporto comunitario vero tra gli abitanti autoctoni, che una volta, per radicamento storico, erano i conservatori millenari, da generazione in generazione di quelle terre, che, oggi, sarebbero conservate e curate dai nuovi residenti disposti a garantire, con i necessari sacrifici, una nuova tutela centenaria di tutte quelle località di montagna, agricole, comunque periferiche, altrimenti destinate ad un abbandono demografico che si perpetua ormai da cento anni.

Marcello Grotta