Uno chef top player, Filippo La Mantia, siciliano. L’impegno costante, un forte senso dell’ospitalità, il desiderio di legare la passione per il food al relax, al benessere, contraddistinguono la sua attività. Il suo ristorante di Milano è gettonatissimo. Roma resta comunque una tappa fondamentale. Sulla cucina vegana mantiene un occhio attento, i nuovi trend vanno rispettati.
La Mantia, perché ha lasciato Roma per debuttare al Nord?
Quando ritengo che un progetto sia concluso, cerco sempre di visualizzare nuovi stimoli. devo tutto a Roma, devo tutto alle persone che nei miei 15 anni ‘romani’ mi hanno permesso di esibirmi e di farmi conoscere sia a loro che ad un pubblico internazionale. senza l’esperienza romana non avrei mai potuto realizzare impresa a Milano. ma uno dei palcoscenici più importanti, a Roma, è stato quello dell’Hotel Majestic, a Via Veneto. una location importante per un progetto diventato in poco tempo alla portata di tutti. Ho solamente aperto le porte a tutti e ne ho fatto una grande casa, come dovrebbe essere ogni luogo di ristorazione legato al benessere.
Cosa può dirci del ristorante che ha aperto a Milano?
E’ nato come conseguenza del mio lavoro e della mia passione. l’impegno è sempre stato uno dei fattori di riuscita dei miei progetti. Con l’esperienza romana ho voluto creare, insieme al mio socio, uno spazio che racchiudesse tutto quello che la mia vita mi ha insegnato e che mi ha fatto amare. Quindi spazio alle foto, alle moto, alle macchine, agli strumenti musicali. Una grande casa in cui vivere, quello che non puoi fare nella tua casa. Cerco sempre di fare ritrovare alle persone qualcosa di loro e di metterli sempre a proprio agio, a prescindere dal cibo che è uno dei denominatori comuni che lega il tutto. Oggi a due anni dall’apertura, il mio locale và molto bene. Il milanese ha imparato ad apprezzare il mio progetto di ospitalità legata al cibo. posso dire che Milano riconosce i grandi progetti, non ti regala nulla e questo per loro è un luogo da viversi e frequentare.
Sono più esigenti, a suo parere, i milanesi o i romani?
Io non parlerei di milanesi e di romani. sono due tipologie di persone differenti. il romano ha sempre considerato la tavola come luogo di aggregazione per risolvere, creare e cucire amicizie e quindi il cibo è visto e vissuto con più rilassatezza e allegria. A prescindere dai palati raffinati è l’approccio che cambia. Il milanese è più razionale. E’ abituato alle grandi atmosfere legate ai progetti architettonici. Visualizzano le cose in maniera più fredda e distaccata. Forse non si lasciano incantare per un fattore culturale e di approccio differente agli chef e alle loro tradizioni. Ma oggi posso dire che il mio progetto pian piano è diventato il loro di progetto.
Crede di avere raggiunto il successo?
Non per modestia, ma non mi considero un numero nel food. Sono solamente una persona innamorata del proprio lavoro e sono soprattutto consapevole che è un lavoro che va fatto in maniera differente dagli altri. L’impegno è enorme e non prevede orari o programmi. Chi decide di far parte di questo mondo lo deve fare consapevole che tutto cambia. Non si può considerare un lavoro da cartellino. Devi esserci sempre, devi regalare sempre emozioni, sei sempre sotto esame, devi sempre avere un sorriso per tutti ed una parola buona per ogni occasione. Il malumore, da quando entra il primo cliente, deve sparire. Questo è un credo e quindi bisogna crederci sempre e comunque. La gente percepisce tutto questo ed inizia a considerarti parte di loro. Allora certo che il progetto inizia a funzionare davvero. Altrimenti dovrei cambiare lavoro.
A Roma sta per essere inaugurato il Museo del Calcio Internazionale. Se dovesse abbinare un piatto alla squadra per cui tifa, quale sceglierebbe?
Per adesso il mio rapporto con la mia squadra di calcio, il Palermo, è molto drammatico. la squadra del cuore sta vivendo un periodo nero, sia da parte della presidenza che dalla parte della squadra. Vivo di ricordi, di quando lo stadio era pienissimo e che ad ogni goal tremavano le fondamenta della città. adesso c’è il nulla e lo stadio è vuoto. Diciamo che il piatto che dedicherei alla squadra è una bella cassata. Colorata, vivace, piena, allegra e nutriente. tutti elementi che mancano a loro.
Promuove o boccia la cucina vegana, sempre più diffusa e “in”?
Non ho nulla contro i vegani. Ognuno può fare quello che vuole. L’importante è che le scelte non diventino paranoie anche per gli altri. Il cuoco oggi si deve confrontare con tutti e con tutto. Quindi che ben vengano le nuove tendenze ma sempre con il rispetto massimo per chi non crede.
Sabrina Trombetti