Presidente Costalli, dopo un periodo tempestoso, tra diktat e frenate, ecco l’accordo sulla Grecia che scongiura l’addio all’euro. Arriveranno gli aiuti economici… Che cosa ne pensa?
Non sarei così sicuro del lieto fine: direi piuttosto che l’eventualità di una Grexit è stata allontanata ma non definitivamente scongiurata. Certo, la notizia dell’accordo raggiunto ci fa tirare un sospiro di sollievo, ma le questioni (e le confusioni) sul tappeto sono ancora troppe. Trovo quindi opportuno chiarire alcuni punti: innanzitutto se è vero, come da più parti si sostiene, che l’austerità imposta dall’Ue sarebbe una delle cause della mancata ripresa economica della Grecia, è altrettanto vero che il suo effetto moltiplicatore è stato causato da riforme strutturali fortemente insufficienti, se non addirittura eluse, e che di fatto hanno determinato il fallimento dei due precedenti programmi d’aiuto.Ecco perché la Grexit resta ancora un’ipotesi concreta: la mancanza di fiducia tra Atene e i creditori, l’incapacità di fare riforme, l’assenza di politiche di crescita. Una miscela sempre più esplosiva che potrebbe far sbriciolare l’accordo e riproporre quanto ha cercato di far passare la Germania nella notte di domenica, quando le trattative sembravano in un pericolosissimo stallo: l’uscita, almeno provvisoria della Grecia dalla zona euro; cinque anni per rimettersi a posto, con un governo tecnico a immagine e somiglianza di Berlino.
Ora, l’euro (e con esso lo strapotere economico della Germania) sarà anche una “prigione”, un “peso” per gli Stati che vi aderiscono – e che perciò stesso sono tenuti a rispettarne le regole (Grecia compresa), ma al di fuori dell’euro non vi è possibilità di restare competitivi su un piano internazionale globalizzato e in mano alle nuove potenze economiche emergenti (Brics).
Di fatto le vicende greche degli ultimi tempi (e non solo: penso anche alla crisi Ucraina, ancora incombente sebbene se ne parli di meno ultimamente) hanno messo in evidenza l’impalpabilità, se non addirittura l’inconsistenza, della politica comune europea così com’è oggi e impongono un ripensamento dei cardini stessi su cui si fonda lo stare insieme in Europa: dobbiamo ripartire dallo spirito dei Padri fondatori per costruire un’Europa politicamente forte, nel rispetto di una storia e una tradizione veramente europeiste. E’ questa l’unica speranza per il futuro dei cittadini europei e, in particolare, dei nostri giovani.
Ci sono vincitori o vinti?
Ci sono entrambi, come è ovvio che sia.
Perde l’Europa che si è scoperta incredibilmente debole sul piano politico, ma perde anche la Grecia, oggi costretta a subire un accordo quasi “vessatorio” rispetto alle aspirazioni iniziali di Tsipras. Perde quella Grecia che pretende di rimanere sotto l’ombrello dell’euro senza pagare dazi e che si trova oggi a pagare a caro prezzo i tentativi furbetti di manipolare i conti pubblici ed evitare riforme improcrastinabili (inammissibile che i greci possano andare ancora in pensione prima dei 60 anni, tanto per fare un esempio). Vince, forse, la partecipazione dei cittadini europei al dibattito nato intorno alle vicende greche. Una partecipazione che sinora era rimasta ben lontana dai palazzi di Bruxelles. Si tratta adesso di saperlo cavalcare, questo rinnovato interesse alle politiche europee, senza però cadere in populismi inutili e dannosi.
Veniamo all’Italia, si può parlare di inizio di ripresa per l’economia?
Certamente alcuni sia pur timidi segnali di ripresa ci sono, ma ora si tratta di saperli intercettare e, soprattutto, rendere stabili. Per far questo occorre a mio avviso procedere speditamente sulla strada delle riforme, senza ulteriori tentennamenti e senza altri equilibrismi tattico-strategici. Il punto nodale è che in campo economico la crisi antropologica che è esplosa si manifesta con la negazione della centralità del lavoro e del suo primato e con l’instaurazione, sempre più evidente, del primato del profitto e del denaro. Un primato che sta generando povertà dilaganti e sempre più diffusa ingiustizia sociale, ormai non solo nelle aree sviluppate del pianeta, ma anche in Italia: “Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice” (56 Evangelii Gaudium). A questo stato di cose il Governo, se ne sarà capace, dovrà porre rimedio.
Il problema del lavoro resta centrale. Secondo lei il governo Renzi quali misure dovrebbe attuare per imprimere una svolta?
Sul lavoro siamo intervenuti spesso: sul Jobs Act (che rappresenta sicuramente un passo avanti ma che, da solo, è del tutto insufficiente), sulle aspettative, sulle promesse non mantenute, sulle continue affermazioni ottimistiche del duo Poletti/Boeri, spesso smentite dall’Istat e dall’Ocse.
Il punto è che in Italia si corre il rischio di scardinare il modello basato sul lavoro, quando ancora oggi il sistema pensionistico e mutualistico è invece incentrato sul lavoro.
E’ prioritario quindi invertire la tendenza e creare le condizioni per rilanciare gli investimenti: per far questo è indispensabile una riforma fiscale equa per il lavoro e le famiglie… ma di questo Renzi non parla mai! Dobbiamo inoltre tassare, progressivamente, di più i redditi (e le pensioni) più alti, le rendite finanziarie, i grandi gruppi immobiliari (ma non della prima casa). Lavoro e welfare, famiglia e società, ammortizzatori sociali e giovani, giustizia, sistema fiscale e sostegno alla natalità, istituzioni e Costituzione: sono solo alcuni degli ambiti da “aggredire” e su cui occorre intervenire, con urgenza, a completamento di provvedimenti presi per tamponare contingenze che si sono rivelati ancora parziali e inadeguati.
E’ il lavoro che viene percepito dalla gente come la maggiore misura di “equità”, anche fiscale, non il deficit pubblico o l’assistenzialismo.
Tante imprese chiudono e tanti continuano a perdere il lavoro. Secondo lei va riformato il sistema degli ammortizzatori sociali?
Certamente la nuova situazione del mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione che non accenna a diminuire (gli ultimi dati Istat confermano, anche per maggio, una disoccupazione pari al 12,4%) impone una serie di misure urgenti come la riforma degli ammortizzatori sociali e la revisione del welfare state: sistemi e misure che vanno rivisti per adeguarli alla realtà, ma che non vanno smantellati come invece chiedono ambienti internazionali pilotati dal mercato…
Per le pensioni Renzi studia nuove norme, nel segno della flessibilità, tenendo un occhio ai conti pubblici. Lei come immagina una buona riforma del sistema previdenziale?
In materia di pensioni si sono già fatte riforme …dolorose. Ora mi sembrerebbe saggio, prima di fare “macelleria sociale”, stare a guardare quali saranno i risultati della riforma Monti.
Tra i temi del dibattito politico quello dell’immigrazione, con la Lega intransigente e nuovi episodi drammatici…. Cosa suggerisce?
Sull’immigrazione si sono dette tante cose, forse troppe: l’Europa, Triton, Frontex, ecc. Dobbiamo uscire da un “buonismo sterile” e da un “populismo becero!” In qualunque occasione sono stato chiamato ad esprimere un parere – a Roma, a Napoli, a Bruxelles – ho ribadito che quattro sono i punti cardine essenziali per un’efficace scelta di accoglienza da parte dell’Europa e dell’Italia: 1. il dovere primario dell’accoglienza; 2. la solidarietà tra le nazioni europee nell’affrontare il fenomeno (che va oltre le quote); 3. la riscoperta dell’identità europea; 4. le politiche di aiuto ai Paesi d’origine dei migranti nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni.
Lei ha annunciato le dimissioni da presidente della Fondazione Italiana Europa Popolare?
Si, recentemente ho rassegnato le dimissioni da presidente della Fondazione perché ritengo indispensabile dedicare tutto il mio impegno al Movimento Cristiano Lavoratori, soprattutto dopo la morte di Noè Ghidoni. Convocherò l’assemblea dei soci a settembre per le deliberazioni relative e per le conseguenti determinazioni.
Sabrina Trombetti