IL VALORE DELLE OPINIONI, ALTRUI

Vorrei avviare le brevi riflessioni che seguono da una considerazione che mi deriva da una semplicissima constatazione.

Le società umane ed invero, tutti i consessi costituiti da persone, rappresentano veri e propri crogioli di idee, pensieri, di punti di vista, di convincimenti diversi.

Assai spesso tali differenziazioni conducono a posizioni anche completamente opposte.

In aggiunta a ciò, mi pare agevole osservare che quanto maggiore sia il numero degli individui i quali costituiscano una società, un gruppo o una comunità, tanto più grande divenga l’ampiezza della gamma di opinioni discordanti in essi rinvenibili.

Ebbene, il concetto stesso di democrazia, nell’accezione che assume secondo il comune, consolidato e pacifico intendimento rivela l’intrinseca vocazione, se non addirittura il fine precipuo, di offrire a ciascuna delle disparate opinioni la possibilità di essere propalate e, in ogni caso, di vedere riconosciuta la propria validità.

Per la verità, ho sempre creduto che il valore delle convinzioni altrui rivestisse una estrema importanza per me o che esse fossero, perfino, fondamentali. Ciò sebbene non di rado non ne condividessi il contenuto.

“Accogli sempre l’opinione altrui, ma pensa a modo tuo” ammoniva il grande scrittore e drammaturgo William Shakespeare.

Allo stesso modo rimasi molto colpito, se non addirittura orientato, dalla lettura degli scritti del grande pensatore illuminista Voltaire, al quale si attribuisce la celebre locuzione:” Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò con la vita il tuo diritto di dirlo”.

Ormai è noto che la predetta frase fu scritta da una biografa del filosofo francese, la sig.ra Evelyn Beatrice Hall, tuttavia non si può negare che le parole prescelte dalla scrittrice ed attribuite a Voltaire corrispondano alle posizioni dello stesso.

Il Trattato sulla Tolleranza, che si conclude con un vero e proprio inno a tale virtù, La Preghiera a Dio, rivela proprio le idee di Voltaire che ben si conciliano con la locuzione testé richiamata.

E dunque, accogliere il punto di vista degli altri, persino prima di coglierne il senso, oppure di attribuirgli il giusto valore, ovverosia quella medesima considerazione che ci viene spontaneo ascrivere alle nostre stesse tesi, ci può consentire di osservare la realtà che ci circonda e, forse, il mondo in cui viviamo, mediante una visuale connotata da maggiore capacità di critica e discernimento.

Non può o, probabilmente, non dovrebbe negarsi che la possibilità di esaminare i fenomeni che caratterizzano la nostra esistenza da differenti prospettive, agevolerebbe notevolmente la nostra stessa consapevolezza e la nostra coscienza.

Un simile proficuo risultato sarebbe, infatti, proprio una conseguenza diretta e virtuosa scaturente dall’acquisizione di diversi punti di vista, attraverso i quali indagare l’ambiente a noi circostante.  Ma non basta.

A mio avviso, la predisposizione a valutare con rispetto ed attenzione le diverse posizioni, contribuirebbe a mantenere sempre vivo e presente alla memoria un ineludibile constatazione, ovvero che tutti gli esseri umani sono uguali.

Naturale corollario a quanto precede è la considerazione secondo cui tutte le idee meritino di vedersi riconosciuta pari dignità e valore.

Al fine di entrare più approfonditamente nel merito della tematica in trattazione, così da poterne cogliere in modo maggiormente pregnante il senso, gioverà soffermarsi a svolgere alcune riflessioni.

Non può nascondersi che la presa di coscienza della esistenza di convincimenti contrastanti, o addirittura opposti fra di essi, come non raramente accade, susciti indubbie insofferenze.

Tale semplice ma realistica constatazione non deve meravigliare.

Essa, in realtà, descrive una reazione piuttosto frequente che si concreta ogni qualvolta abbiano luogo, discussioni, diatribe, diverbi, polemiche oppure anche solamente scambi di vedute.

Ed a dire il vero, mi pare di poter affermare che quanto maggiore sia l’importanza che ciascuno attribuisce alla propria posizione circa un argomento, tanto più rilevante sembra divenire il disappunto dinanzi alle obiezioni od alle divergenze.

Certamente un esempio facilmente riscontrabile si può rinvenire dinanzi a contrapposizioni riguardanti temi di natura politica.

Non sfuggirà, infatti, come troppo di sovente in dibattiti di tal fatta, indipendentemente dalla importanza dell’oggetto e del contesto che li animi, le opinioni altrui, laddove discordanti rispetto alle proprie, vengano considerate in guisa di intralci da sormontare, abbattere e soverchiare perseguendo il solo scopo di far prevalere le proprie tesi.

Questa insofferenza verso quelle idee altrui che divergano dalle proprie si accentua notevolmente allorquando si versi in una situazione di complessiva e generalizzata difficoltà, dovuta al contesto in cui ci si trova ed a congiunture negative.

Ed è proprio allora che accettare posizioni diverse da quelle proprie diviene ancora più ostico, giacché si può cadere nella tentazione di imputare ad altri i propri insuccessi, la propria incapacità a rinvenire soluzioni ai problemi che si presentino o, forse, anche ad ovviare alle proprie frustrazioni che da ciò discendano.

A mio avviso, si tratta di una istintiva ed incontrollata reazione provocata dalla necessità imperitura di individuare la causa delle difficoltà altrove rispetto a sé stessi ed a ciò che appartiene alla propria sfera di dominio, così che sia più comodo poter sostenere la giustezza delle proprie opinioni rispetto all’erroneità dei pareri degli altri.

Orbene, traslando la questione sul piano della politica e delle problematiche ad essa connesse, è dato osservare come il fenomeno appena descritto trovi un impulso acceleratore.

Sin troppo spesso i protagonisti di dibattiti a tema politico, prescindendo da una accorta e dovuta attenzione alle ragioni degli interlocutori, pur in assenza di un’indagine critica e ponderata circa le stesse, indulgono nello stigmatizzare i pensieri di questi ultimi, addebitando loro ogni tipologia di incolpazioni.

Tutto sommato, mi pare che scorgere le cause relative a problematiche concrete o sopravvenienti, in coloro i quali non convergono sulle proprie posizioni, viene di sovente ritenuta la via migliore per approcciarsi alle predette questioni. O, quantomeno, la più agevole.

In altri termini, addossare ad altri le responsabilità delle disfunzioni presenti nel proprio Paese, nella politica, nel proprio contesto o più ampiamente nella società, appare a molti la migliore soluzione.

Naturalmente, attribuire ad altri le cause di inefficienze che si concretino in ambiti quali quelli sopra menzionati è di gran lunga più facile, dal momento che consente di evitare di fare i conti con le proprie responsabilità e la fallacità di alcune proprie opinioni.

Non sono pochi coloro i quali preferiscano ricercare pervicacemente le motivazioni delle inadeguatezze che si presentano loro, a cagioni indipendenti dalla propria sfera di controllo, pur avendo contezza di essere nel torto.

Tale modus agendi incontra senza alcun dubbio un grave, insuperabile ed immediato limite.

Intendo riferirmi ai casi in cui le proprie opinioni non condivise trovino, invece, concreto apprezzamento e proficua a applicazione nella realtà, confutando così quelle tesi che si reputava essere le uniche ammissibili e da accettare.

Ebbene, precisamente in tali situazioni, vi sono alcuni che perseverano nel sostenere le proprie ragioni, addebitando ad incomprensione o, peggio ancora, ad incapacità ed ignoranza il rigetto delle teorizzazioni che essi propugnano.

Dinanzi a simili considerazioni, allora, occorre domandarsi cosa si intenda con la parola ignoranza.

Essa, a ben riflettere, qualora non sia riferita a specifiche carenze relative a quozienti dello scibile umano e non sia, altresì, contestualizzata, va considerata in guisa di un termine troppo generico ed, ovviamente, per nulla esaustivo, laddove lo si riferisca ad una persona.

Non mi pare, infatti, si possa consentire che scelte personali politiche, idealistiche, o di vita, connotino l’ignoranza di un individuo, semplicemente perché sono diverse dalle nostre.

In altri termini, non mi convince la tesi secondo la quale la conoscenza di una pertinente quantità di nozioni, debba considerarsi alla stregua di un vero e proprio requisito per l’ammissibilità dell’opinione altrui in merito a una specifica questione.

Laddove, infatti, ciò si ammettesse, si potrebbe giungere alla parossistica affermazione che solo a pochi, in possesso di approfondite competenze, sia consentito offrire un punto di vista su un determinato argomento e, verosimilmente, neanche tale ipotesi sarebbe sufficientemente accettabile, dal momento che, per quanto sia profonda la conoscenza dell’argomento in questione da parte di qualcuno, purtuttavia potrebbe esistere qualcun altro che ne abbia maggiore contezza.

Porsi, dunque, dinanzi alle opinioni altrui con il massimo rispetto, umiltà e con la disponibilità a confrontarsi in ordine alle stesse reputo sia, indubbiamente, il modo più proficuo per misurarsi, finanche dialetticamente, con quanti le sostengano.

Il pensiero del grande filosofo greco Aristotele a tal riguardo, può senz’altro costituire un principio cui ispirarsi “Solo una mente educata può capire un pensiero diverso dal suo senza avere bisogno di accettarlo”. Ciò, naturalmente, in maniera del tutto indipendente rispetto al proprio livello di sapere.

Quella testé proposta mi sembra, in verità, una considerazione inconfutabile sul piano esperienziale, a meno che non si voglia sostenere che esistano persone dotate di conoscenze assolute e definitive circa una tematica, in grado di esprimere, esse sole, opinioni valide o universali o forse persino assiomatiche, relativamente ad essa.

Ritengo, tuttavia, che una simile impostazione denunci in re ipsa le ragioni della propria inammissibilità.

La conoscenza in quanto tale e di per sé stessa, per quanto possa raggiungere elevatissimi gradi circa una molteplicità di materie, non può mai raggiungere l’esaustività.

D’altra parte, ciò costituirebbe un inconcepibile limite ad una prerogativa connessa alla persona umana ed alla sua stessa capacità di aprirsi all’apprendimento.

Da ciò discende, a mio avviso, che la validità delle posizioni, delle idee ovvero delle opinioni di una persona non sia direttamente proporzionale al suo grado di conoscenza.

Credo, invece, che le idee di ciascuno non constino semplicemente della padronanza acquisita in relazione ad una pluralità di argomenti, sebbene essa ne possa costituire un valido sostegno, ma che esse siano, piuttosto, il frutto di elaborazioni personali, ricerche, processi di maturazione o sinanco travagli i cui protagonisti non siano esclusivamente le conoscenze, ma anche e soprattutto i sentimenti umani.

Sono questi ultimi, in fondo, che forgiano le idee, che forniscono alle stesse una identità, un significato, un valore per il quale valga la pena anche di battersi.

Mi pare, pertanto, possa fungere da immediato corollario a quanto innanzi evidenziato che ogni idea o qualsiasi punto di vista, anche se diverso dal proprio, in virtù delle sue connotazioni che lo definiscono quale esito di un percorso umano, debba essere accettato, quand’anche non condiviso, ovvero non compreso.

Ed allora, non può recarsi in dubbio che gioverebbe grandemente acquisire l’abilità e, perfino, la predisposizione ad accettare le opinioni altrui.

Un’attitudine di tal fatta, che a mio modo di vedere, assurge al rango di inestimabile pregio, consentirebbe di porre in essere confronti e scambi di opinioni in grado di accrescere il proprio bagaglio di esperienza, la propria capacità di critica e, laddove necessario, di autocritica.

Resto fortemente persuaso, oltretutto, che l’inclinazione ad accogliere le posizioni altrui costituisca un indubitabile avviamento al dialogo che accomuna le persone e che consente l’apertura di canali comunicativi, quanto mai indispensabili al fine di perseguire la pacifica convivenza ed il benessere generale.

Vorrei affidare la conclusione della breve narrazione che precede alle illuminanti parole di Karl Popper, il quale nel teorizzare la “società aperta” ebbe ad affermare: “Io sostengo che una delle caratteristiche di una società aperta sia di tenere in gran conto, oltre alla forma democratica di governo, la libertà di associazione e di proteggere e anche incoraggiare la formazione di sotto-società libere, ciascuna delle quali possa sostenere differenti opinioni e credenze”.

Rolando Grossi