Cultura, forse una parola della quale si fa un uso sin troppo universale.
Innanzitutto vorrei soffermarmi sinteticamente su ciò che intendo con il termine cultura.
Di sovente la si associa al grado di conoscenza legata ad un percorso scolastico, ritenendo che solo attraverso l’acquisizione di un titolo dotato di un valore formale e riconosciuto dalle organizzazioni istituzionali si possa ammetterne la sussistenza.
Niente di più sbagliato, secondo me.
Dal punto di vista etimologico il termine deriva la latino colere ossia coltivare.
Ed in effetti sotto il profilo concettuale il termine è senz’altro efficace.
Nel lessico che utilizziamo quotidianamente, però, il senso insito nella parola appare proprio legato ai “titoli di studio” o a riconoscimenti ufficiali, quasi che solo essi ne rappresentino l’essenza.
Tuttavia, a me pare sempre di più riduttiva l’accezione che ormai tale lessico ci consegna.
La cultura, difatti, ha diversi aspetti e si esplica sotto forme che si legano ad una moltitudine di ambiti.
La cultura letteraria, la cultura scientifica, la cultura artistica, la cultura musicale e via dicendo.
In genere una persona colta o una persona di cultura viene considerato, sostanzialmente, colui il quale disponga di un titolo di studio formalmente rilasciato.
L’equazione diventa, allora, si è laureati quindi si è persona colta.
E chi non dispone di tali titoli? Non può definirsi colto? Apparentemente no.
Io sono convinto, invece, che la cultura possa essere rappresentata dall’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito tramite lo studio e l’approfondimento, mediante la rielaborazione di tali conoscenze ed attraverso il necessario, intimo e profondo ripensamento delle medesime, così che esse entrino a far parte della propria personalità e spiritualità e non rimangano mero esercizio di erudizione, ma la cultura è anche molto altro.
A me sembra che le esperienze che connotano un percorso umano, tutte, da quelle più naturali ed istintive a quelle antropicamente più complesse contribuiscano a costruire la cultura di una persona.
Antropologicamente, ad esempio, il concetto di cultura è assolutamente ed infinitamente più ampio ed inclusivo di quello che passa attraverso l’interpretazione lessicale quotidiana, poiché in quel contesto esso attiene ai molteplici aspetti della vita degli uomini e delle loro comunità, al loro modo di essere, pensare, comportarsi, uti singuli et uti socii.
Ebbene, dall’ampliamento e rimeditazione del senso della parola cultura che proviene dall’accezione antropologica si dovrebbe, a mio avviso, cogliere l’estensione e l’ampiezza del concetto ivi racchiuso.
Ed allora, probabilmente occorre mettersi d’accordo sul significato di questo termine.
Non c’è dubbio che conoscere di molte discipline, disporre di molti saperi ed essere in grado di ricordarli, utilizzarli, esplicarli sia importante e rappresenti il segno di un grado di cultura, ma ciò non è determinante o, perlomeno, non è esaustivo.
La cultura nasce e si sviluppa con gli esseri umani, ne è l’immagine viva e fungente.
In fondo la sua stessa origine etimologica soccorre a rammentare cosa si intendesse già nell’antichità classica con il lemma cultura.
I latini, infatti, impiegavano il termine cultura non solo per indicare il rapporto tra la natura e l’uomo, bensì anche (unitamente alla parola anima) per designare quel processo di “coltivazione”, intesa stavolta come educazione, della propria anima, la quale necessita di essere coltivata (educata) allo stesso modo di come si coltiva la terra.
Quindi con la parola cultura si individua un processo di coltivazione dell’uomo attraverso tutta una serie di procedimenti e di processi di apprendimento (noto come cultura animi).
Ed ancora, il termine cultus (che ha analoga etimologia) stava ad indicare proprio tutto ciò che si rivela curato, lavorato, coltivato in opposizione al termine neglectus, ossia non curato, non lavorato, non coltivato.
Da qui il termine culto, che veniva adoperato per tutte quelle circostanze che richiedono una cura assidua. Sia essa diretta agli Dei, che agli esseri umani.
In una simile prospettiva, il concetto di cultura è assimilato a quello di coltivazione, intesa in guisa di un intervento tendente a sviluppare qualcosa. Un termine che rimane legato a quello di humanitas sino al XIV secolo, mentre a partire dal periodo che va dal XV al XVI secolo il termine verrà recuperato da filosofi quali Bacone e Pufendorf prima, nonché da Leibniz e Kant poi, allo scopo di designare il processo di formazione della personalità umana e la sua capacità di progredire.
Un processo di formazione della personalità, dunque, non solo un procedimento di acquisizioni di dati, informazioni e nozioni.
Occorre molto altro e credo che sia proprio questo il punctum crucis.
Non sono portato a ritenere che le generazioni moderne (i millennials) siano generazioni dotate di maggior cultura rispetto a quelle che le hanno precedute che sarebbero le meno colte o addirittura le più ignoranti.
Una simile posizione, che più volte ho udito e letto, discende semplicemente dalla fuorviante valutazione sociologica fondata sull’accertamento dei livelli di scolarizzazione.
E’ il caso di rammentare che uomini del passato a cui certo non faceva difetto l’intelletto e la cultura quali Alessandro Manzoni, Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Benedetto Croce e molti altri, così come molti illustri contemporanei, le cui doti intellettuali e culturali sono indiscusse, quali Eugenio Montale, Piero Angela, Roberto Benigni, Dario Fo, Steve Jobs, Walt Disney, Henry Ford e tanti altri ancora, non fossero o non sono in possesso di diploma di laurea.
Non erano o non sono Dottori, insomma, ma erano e sono geni e uomini di cultura infinita.
La cultura pertanto, è strettamente connessa alla perenne curiosità di scoprire nuovi ambiti di interesse ed acquisire nuove conoscenze che fungano da stimolo per proseguire ad edificare la propria personalità e la propria umanità.
Ciò posto e giunti a questo punto, vorrei spostare l’attenzione sul valore che viene riconosciuto alla cultura nel contesto attuale.
Quella “Importanza della Cultura” che le magistrali parole di Isocrate già nel IV secolo a.c. esaltavano.
Non sfuggirà come in molti Paesi la cultura sia fortemente valorizzata a differenza di altri nei quali essa si va gradualmente ma inesorabilmente marginalizzando.
Ebbene, laddove la cultura continui a rappresentare un elemento fondamentale di un programma e di un’azione politica, si evidenzia un complessivo arricchimento della comunità.
Beninteso, non intendo solo dal punto di vista economico, bensì anche sotto il profilo della stessa qualità della vita.
Viceversa, ove la cultura sotto i suoi molteplici aspetti ceda il passo ad interessi, per così dire, più tangibili e concreti molto presto si riscontra un impoverimento sotto diversi profili.
La cultura, dunque, ha un immenso valore, è una vera e propria ricchezza intesa nella pienezza semantica del termine.
Oltre a contribuire in misura determinante, come si è rilevato in precedenza, alla formazione della personalità umana, essa può divenire una fonte inesauribile di prosperità.
I Paesi che hanno la fortuna di possedere patrimoni culturali importanti, tra i quali l’Italia certamente assume una posizione di eccellenza se non primaria, possono contare su risorse di grande rilievo, per molti versi, inesauribili ed a basso costo.
La cultura, allora, andrebbe valorizzata, incentivata, tutelata attraverso azioni politiche incisive, ma anche tramite un costante incoraggiamento pedagogico.
Educare a fare cultura, a riconoscerla come valore imprescindibile di ogni contesto sociale, facilitare (nei giovani in particolar modo) la maturazione dell’aspirazione a divenire persone di cultura dotate di curiosità ed interessi, dovrebbe essere uno dei principali obiettivi oltreché doveri dello Stato.
Purtroppo, però, oggigiorno mi pare che si sia travisato il valore della cultura o, perlomeno, che non le si attribuisca il giusto peso.
E’ noto, constatazione amara ma realistica, che luoghi ove si crea cultura quali, teatri, librerie, biblioteche, sale e laboratori cinematografici e fotografici, circoli letterari o scientifici, sportivi, balletti, orchestre, scuole, università, centri di ricerca ed a volte anche importanti musei o aree storico-archeologiche e via elencando subiscano non di rado le negligenze pubbliche.
Le crisi o, quantomeno, le difficoltà di interi comparti culturali non sono certamente ignorate dall’osservatore ad essi interessato.
Ovviamente vi sono Paesi più virtuosi e Paesi che lo sono meno.
Ciò malgrado, a mio avviso, l’attenzione verso la cultura è, in linea generale e transnazionale calata.
Circa le ragioni del fenomeno vi sono diverse interpretazioni ed opinioni che sarebbe interessante indagare e vagliare.
In ogni caso credo che, senza titubanze, su di una questione si possa convergere, ossia che la cultura abbia un valore incommensurabile per ogni consesso umano e che essa vada nutrita e praticata.
Occorre allora, sempre più urgentemente, prenderne atto e vedere il sostegno alla crescita culturale come un investimento, un arricchimento, l’obiettivo principale di una comunità e non come un’ipotesi o il capoverso di un programma politico contingente che fatalmente finisce per perdere priorità.
Trovo assolutamente condivisibili e lungimiranti le parole di Claudio Abbado allorquando sostiene che ”la cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri le biblioteche i cinema sono come tanti acquedotti”.
In altri termini, la cultura non può essere considerata un “abbellimento” intelligente di attività il cui fine è prettamente economico o volto al profitto, ma deve diventare l’elemento centrale della organizzazione e della programmazione della società e della stessa produzione del valore economico.
Il valore della cultura, quindi, è assolutamente elevatissimo tanto che essa stessa può considerarsi un vero e proprio “valore”.
Il concetto di “valore”, infatti, è impiegato abitualmente nel linguaggio ordinario con significati diversi, ma se lo si riferisce a quei “valori”, che indicano gli ideali a cui gli esseri umani aspirano, allora certamente la cultura rientra in tale definizione.
La cultura, cioè, come ideale cui aspirare, cui tendere, su cui fondare un progetto.
Nella interessante formulazione delineata da Max Weber (il grande filosofo, sociologo, economista e storico tedesco) si ritrovano già le caratteristiche centrali cui il concetto di valore si riferisce.
Innanzitutto il valore non è semplicemente inteso come l’oggetto di una preferenza, come ciò che è desiderato, ma assume una connotazione normativa.
Il valore non è, però, nemmeno un ideale astratto, sganciato dalle scelte effettive.
L’illustre pensatore tedesco considerava i valori come la guida e l’orientamento delle scelte stesse.
In tale prospettiva, dunque, i valori si realizzano storicamente e si connettono in vario modo con la realtà sociale, l’organizzazione economica e giuridica, le tradizioni, i costumi e i simboli di una collettività.
Weber mise in luce le ragioni della loro rilevanza per l’agire sociale.
Alla cultura, nella sua più ampia accezione e come vero e proprio valore, pertanto, deve essere riconosciuto un inequivocabile, fondamentale e decisivo ruolo.
Da ultimo, mi pare appropriato affidare la conclusione di queste mie brevi riflessioni alle condivisibili parole di Albert Camus: “senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società anche fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro”.
Solo l’uomo colto è veramente libero (Epitteto).
Rolando Grossi