I TESORI DELLA CINA IMPERIALE

 

TesoriCinaImperiale2015Dal 16 Luglio 2015 al 28 Febbraio 2016 nelle sale del Refettorio Quattrocentesco di Palazzo Venezia, è possibile ammirare la mostra dei capolavori dal museo provinciale dello Henan, uno dei maggiori musei nella Repubblica Popolare, per raccontare il passaggio dalla dinastia Han (206 a.C.) periodo in cui l’ odierna Cina comincia a prendere forma, all’età dell’oro della dinastia Tang (581 d.C. – 907 d.C.).

In esposizione, una selezione di oltre 100 reperti provenienti dal Museo provinciale dello Henan: una veste funeraria di 2.000 listelli di giada intessuti con fili d’oro, lacche, terrecotte invetriate, vasi, oggetti d’oro, d’argento e di giadeite, ad illustrare lo straordinario clima di prosperità e di apertura culturale di quel periodo storico. La mostra si inserisce nell’ambito delle iniziative finalizzate a promuovere lo scambio culturale tra Italia e Cina, come previsto dal Memorandum d’Intesa siglato il 7 ottobre 2010 tra il nostro Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e la State Administration of Cultural Heritage della Repubblica Popolare Cinese.

ll periodo compreso tra l’avvento della dinastia Han e la fine della dinastia Tang, vale a dire gli anni dal 206 a.C. al 907 d.C., rappresenta una fase che assume grande rilievo nella storia della Cina, essendo stata caratterizzata da uno sviluppo pressoché ininterrotto, tanto in campo scientifico quanto in campo tecnologico. L’evoluzione delle conoscenze maturate nel corso dell’epoca più antica rese possibile una serie di importanti scoperte e di invenzioni in numerosi campi quali la matematica, l’astronomia, la medicina, l’agronomia, la chimica, la metallurgia, l’architettura, le tecnologie e i metodi di produzione. Le fonti storiche di cui oggi disponiamo ci consentono di appurare che questa evoluzione è scaturita dal concorso di diversi fattori, alcuni di carattere strutturale e altri puramente fortuiti. Gli oltre mille anni intercorsi tra le dinastie Han e Tang tracciano un grande ciclo ideale in cui la Cina si presenta inizialmente unita, poi divisa e infine nuovamente unificata. Le fasi di unità del paese coprono la maggior parte di questo arco di tempo, in netto contrasto con la lunga epoca di frammentazione dei periodi delle Primavere e autunni (770 – 481 a.C.) e degli Stati combattenti (480 – 221 a.C.). Le ripercussioni che una tale coesione politica ebbe, tanto in campo scientifico quanto in campo tecnologico, sono estremamente complesse; in questa sede ci limiteremo a illustrarne i caratteri generali. In primo luogo, grandi dinastie come gli Han e i Tang, capaci di tenere insieme tutta la Cina, dovevano esercitare sulla cultura e sulle idee un controllo rigido, di tipo assolutistico; la tolleranza che in epoca pre-imperiale aveva reso possibile la contesa tra le Cento scuole era venuta meno. In questo contesto, lo studio dei Classici divenne il pilastro incrollabile della cultura ufficiale, mentre la conoscenza scientifica fu non soltanto ostacolata dai governi imperiali, ma spesso censurata e distorta a seconda delle esigenze politiche. Tale rapporto tra scienza e potere si era costituito già in epoca Han, per poi svilupparsi negli anni a venire fino all’epoca moderna. I condizionamenti maggiori si ebbero nell’astronomia e nella scienza calendariale. La funzione fondamentale della prima, nella Cina antica, era quella di mettere in comunicazione l’uomo con il cielo. Tale caratteristica fu conservata lungo tutto il periodo che va dagli Han ai Tang, parallelamente a un certo sviluppo. L’interesse del potere verso l’astronomia non era di natura scientifica; si tendeva piuttosto a mettere l’operato del governo in relazione ai fenomeni celesti, producendo una serie di interpretazioni puramente politiche degli accadimenti nel mondo della Natura. La forma compiuta di questi orientamenti era la cosiddetta “teoria dei portenti”, che includeva tra i suoi oggetti ogni sorta di calamità e di fenomeni naturali straordinari. Le sue origini si possono far risalire alle speculazioni del periodo pre-imperiale sullo yin e lo yang e sulle Cinque fasi, ma è con Dong Zhongshu (179 – 104 a.C. ca.) e la sua corrispondenza tra cielo e uomo, ai tempi dell’imperatore Wu (140 – 87 a.C.) degli Han anteriori, che essa appare in forma sistematica. Secondo tale tesi, tutti gli episodi inusuali che si verificavano in Natura erano altrettanti ammonimenti che il cielo, dall’alto, inviava al sovrano; se questi non vi si conformava, il suo regno era destinato a una rapida fine. Una concezione del genere doveva far sì che le preoccupazioni politiche della corte nella definizione del calendario portassero questa a esulare da un ambito puramente scientifico. Un caso esemplare è offerto dalle vicissitudini che hanno preceduto l’adozione del metodo dingshuo (“determinazione delle sizigie”). Già sotto gli Han posteriori (25 – 220), l’astronomo Liu Hong (140 – 206 ca.) aveva osservato che il metodo tradizionale dingshuo non era in grado di risolvere il problema della irregolarità del moto apparente della Luna. Nel 443, He Chengtian definì il Calendario Yuanjia (Yuanjia li), che stabiliva per la prima volta il metodo dingshuo correggendo gli errori del sistema precedente. Tale metodo, tuttavia, suscitò critiche e obiezioni che finirono con l’impedirne l’effettiva applicazione. La disputa tra i sostenitori dei due sistemi si protrasse per oltre due secoli. Dopo la scoperta che anche il moto apparente del Sole presentava irregolarità, la credibilità teorica del metodo dingshuo apparve rafforzata. Ma il potere non teneva conto delle scoperte scientifiche e le ostacolava. Agli inizi della dinastia Sui (581 – 617), uno dei consiglieri favoriti dell’imperatore Wen, Zhang Bin, attaccò con argomenti del tutto privi di scientificità i sostenitori del metodo dingshuo, denunciandoli come “sovversori dell’ordine celeste” e provocandone la rimozione dagli uffici. Sebbene l’esistenza di vizi originari nel metodo di definizione del calendario fosse già un fatto accertato, non fu possibile far recedere Wendi dalle sue convinzioni. Soltanto nel 665, durante il regno dell’imperatore Gaozong dei Tang, Li Chunfeng sarebbe finalmente riuscito a far adottare il Calendario Linde (Linde li), basato sul metodo dingshuo. L’unione dell’intera Cina sotto un unico potere centrale, d’altro canto, doveva offrire una serie di condizioni favorevoli allo sviluppo scientifico e tecnologico. L’unità politica e sociale incoraggiava innanzi tutto lo scambio di conoscenze tra le diverse regioni del paese, promuovendone così la crescita e l’integrazione. Una tesi corrente vuole che la medicina cinese nel periodo pre-imperiale si dividesse in due scuole principali: la scuola di Qin, con il suo centro nell’odierno Shaanxi, che privilegiava agopuntura e moxibustione, e quella di Qi, radicata nella provincia dello Shandong, che invece favoriva le terapie farmacologiche. Tuttavia esisteva una terza scuola, quella di Chu ‒ diffusa nell’antico territorio del regno omonimo, lungo il medio corso del fiume Yangzi e che si distingueva nella cura delle malattie tropicali e nella macrobiotica ‒, la quale, a giudicare dal gran numero di testi di medicina rinvenuti a Mawangdui e a Jiangling, avrebbe mosso i suoi primi passi al più tardi nel periodo degli Stati combattenti. Significativamente, le tre grandi scuole di medicina nel corso del periodo Han si sarebbero unificate. Nel 5° secolo d.C., il potente ministro Wang Mang (45 a.C. – 23 d.C.), che di lì a poco avrebbe fondato una sua dinastia detronizzando per qualche tempo gli Han, si fece promotore per la prima volta di una selezione ad ampio raggio di uomini versati nelle scienze. Una politica simile è stata riproposta nel periodo Tang, la seconda grande dinastia dopo gli Han, quando il governo riunì una commissione di oltre venti eruditi e affidò loro l’incarico di consultare la gran mole di volumi conservati nella Biblioteca imperiale, disponendo inoltre che ogni regione del paese inviasse illustrazioni di medicinali. Nell’arco di due anni fu così portata a termine la compilazione della Nuova revisione della farmacopea (Xinxiu bencao), la prima opera di questo genere su scala nazionale nella storia della Cina, costituita da 54 volumi (ovvero rotoli manoscritti) e articolata in tre sezioni. Le differenze tra quest’opera e il Canone di farmacopea del Divino Agricoltore (Shennong bencao jing) scritto agli inizi del VI sec. nel Sud della Cina da Tao Hongjing (456 – 536), sono evidenti. Infatti Tao Hongjing viveva isolato nel Jiangnan, e la sua conoscenza dei medicinali non poteva essere completa. La Nuova revisione della farmacopea dei Tang era invece il frutto del lavoro di un nutrito gruppo di specialisti su tutto il territorio nazionale, da Jiaozhou nell’estremo meridione fino alle regioni del Nord abitate da tribù di stirpe turca come i Tiele. Opere scientifiche di così vasta portata, che richiedevano un lavoro di équipe, in un’epoca di frammentazione politica sarebbero state impensabili. Con il diretto intervento del potere centrale, in un grande impero senza frontiere interne, le nuove tecniche di produzione potevano uscire rapidamente dai confini del luogo di origine e divenire patrimonio comune di regioni diverse. Un esempio significativo è offerto dalla diffusione della tecnica di aratura con i buoi, che sebbene fosse apparsa già durante le primavere e autunni, era stata utilizzata in modo estremamente limitato fino alla vigilia dell’epoca imperiale. Oltre alla scarsa disponibilità di attrezzi in ferro per gli aratri, l’uso dei buoi era stato certamente frenato dalla situazione di conflitto tra una moltitudine di stati diversi, venuta meno con gli Han. Alla fine del regno dell’imperatore Wu (87 a.C.), l’aratura con i buoi era stata introdotta su vasta scala nel Nord della Cina, da Zhao Guo, il funzionario di grado più elevato nell’amministrazione dell’agricoltura. La tecnica, originaria del Guanzhong (odierno Shaanxi), si estese progressivamente alle attuali province del Gansu, Ningxia, Mongolia Interna, Shanxi, Henan e Shandong, in territori che all’epoca degli Stati combattenti erano divisi tra i regni di Qin, Han, Wei, Zhao e Qi. In seguito, il passaggio all’aratura con i buoi divenne un obiettivo della politica imperiale, investendo l’intero paese. Ad attestare la diffusione della tecnica ci sono dipinti e sculture di epoca Han che ne raffigurano l’utilizzo, nonché numerosi esemplari di vomeri risalenti allo stesso periodo; questi materiali sono stati ritrovati in gran numero non soltanto nel bacino del Huang He, ma anche nel Liaoning, nel Jilin, nel bacino dello Yangzijiang (Jiangsu, Anhui), in quello del Zhujiang (Guangdong), nelle zone del Sud-ovest (Sichuan, Guizhou), o nella provincia costiera sudorientale del Fujian. Anche nel campo dell’astronomia, sottoposta a numerosi condizionamenti politici, le attenzioni del potere hanno avuto talora dei risvolti positivi. Sotto l’influenza della teoria sulla “corrispondenza tra cielo e uomo”, alcuni membri del governo seguivano con estremo interesse il prodursi di fenomeni naturali straordinari, e pertanto, in modo imparziale, si facevano promotori di lavori di ricerca su questi temi. In epoca Han, il governo centrale richiese più volte alle amministrazioni locali di segnalare individui esperti di yin e yang, portenti e calamità. Così, per esempio, l’imperatore Yuan degli Han anteriori nel 46 a.C. ordinava: “Orbene, abbiamo ascoltato che la via per portare la pace tra il popolo ha la sua origine nello yin e nello yang. Ma di quando in quando, nello yin e nello yang si producono considerevoli alterazioni, i venti e le piogge non seguono i tempi regolari. […] Che ognuno dei ministri e dei censori segnali alla corte tre individui esperti di yin e yang, portenti e calamità” (Hanshu, Yuandi benji). Nel 108 d.C., sotto l’imperatore An, a causa del verificarsi di ripetuti disastri naturali e di irregolarità nel clima fu dato ordine alle autorità centrali e locali di disporre affinché le persone istruite in tali fenomeni presentassero per iscritto la propria interpretazione degli eventi in corso, offrendola al sovrano perché ne prendesse visione (Hou Hanshu, Andi benji). Alcuni fenomeni celesti a cui veniva attribuito un particolare significato politico e sociale divennero per questo oggetto di indagini estremamente dettagliate. L’apparizione di comete, per esempio, era ritenuta un presagio di imminenti guerre o disordini e veniva accuratamente registrata dagli osservatori di corte, che annotavano anche la forma e le caratteristiche di questi corpi. Ru Chun, vissuto alla fine degli Han posteriori, ne propose una classificazione in tre tipi: comete dai raggi corti, di apparizione improvvisa; comete dai raggi lunghi; e stelle anomale, dai raggi lunghi e perpendicolari (l’informazione è citata nel commentario alla Hanshu, Wendi benji, scritto in epoca Tang da Yan Shigu). Grazie ai documenti rinvenuti nella tomba n. 3 della necropoli di Mawangdui, chiusa nel 168 a.C., oggi sappiamo che tali nozioni astronomiche erano già consolidate all’inizio della dinastia Han anteriore. Nella tomba, infatti, sono state ritrovate ventinove immagini di comete dipinte su strisce verticali di seta, in cui si distinguono la testa e la coda dei corpi celesti; la coda, in particolare, è variamente raffigurata come diritta o curva e costituita da uno o più filamenti. Nell’assolutismo che caratterizzava i governi imperiali della Cina antica, il sovrano poteva far valere direttamente la propria enorme autorità per favorire la crescita delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie. In tal senso si distinsero gli imperatori Wu (Liu Che, 140 – 87 a.C.) degli Han anteriori, Wang Mang (9 – 23 d.C.) dell’effimera dinastia Xin, Wen (Liu Yilong, 424 – 453) dei Liu Song, Xiaowen (Yuan Hong, 471 – 499) degli Wei settentrionali, Wen (Yang Jian, 581 – 604) dei Sui, Gaozong (Li Zhi, 650 – 683) e Xuanzong (Li Longji, 712 – 755) dei Tang. Tra di essi, un posto di rilievo spetta all’imperatore Wu degli Han, sotto il cui governo la politica di promozione dell’agricoltura, considerata fondamentale lungo tutto il periodo antico e medievale, raggiunse la sua espressione più completa, innescando lo sviluppo delle tecniche agricole, della metallurgia e delle opere idrauliche. Wudi sosteneva che l’agricoltura era il “fondamento dell’impero” (editto del 111 a.C.), e che la costruzione di canali, dighe e bacini artificiali era utile non soltanto all’irrigazione dei campi, ma anche a fronteggiare le ricorrenti siccità (Hanshu, Gouxiezhi). In questo scenario, in un’epoca in cui “i ministri disputavano sui benefici dell’acqua” (Shiji, Hequshu), ebbe inizio la realizzazione sistematica di grandi opere d’ingegneria idraulica, fino ad allora eseguite soltanto sporadicamente. Gli interventi più rilevanti interessarono la strategica regione del Guanzhong (corrispondente alla parte centrale della moderna provincia dello Shaanxi), che comprendeva la capitale Chang’an: il canale della Testa di Drago (Longshou), che irrigava oltre 10.000 qing (4,586 ha = 1 qing ca.) di suolo alcalino; il canale Bai (dal nome del suo ideatore, Bai Gong), lungo 200 li (1 li = 498,96 m) e capace di portare acqua a oltre 45.000 qing di terreni coltivabili; e ancora i canali Lingzhi, Chengguo e Wei. Grandi lavori per favorire l’irrigazione furono compiuti anche negli odierni distretti di Runan (Henan) e Shouxian (Anhui), nonché nella parte occidentale dello Shandong e nello Shanxi. A queste opere vanno aggiunti poi gli innumerevoli interventi di portata più modesta effettuati in tutto il territorio dell’impero. Zhao Guo, un esperto di agronomia con incarichi di governo negli ultimi anni del regno di Wudi, introdusse su vasta scala il metodo di coltivazione detto di “sostituzione dei suoli” (daitian), particolarmente adatto ai terreni aridi. Questo metodo consisteva nello spargere le sementi nei solchi e attendere la crescita dei germogli, per poi effettuare la sarchiatura e spingere la terra dalle porche all’interno dei solchi in modo da ricoprire le radici dei germogli; l’anno successivo si tracciavano i solchi lungo l’estensione delle porche, alternando così le strisce di terra utilizzate. Con questo metodo si poteva garantire un adeguato livello di umidità del suolo, ponendo le piante al riparo da vento e siccità, e allo stesso tempo determinare il ripristino della fertilità (Hanshu, Shihuo zhi, parte prima). Sotto il regno di Wudi anche la metallurgia conobbe sensibili progressi. Nel 119 a.C. venne istituito il monopolio statale del ferro, con la concentrazione di risorse umane, materiali e finanziarie che ne risultava. Secondo il Trattato sull’organizzazione terrestre (Dili zhi) della Storia della dinastia Han [anteriore], il governo creò quarantanove amministrazioni locali per la siderurgia, con le relative fonderie, distribuite nelle attuali regioni dello Shaanxi, dello Henan, dello Shanxi, dello Shandong, dello Hebei, del Liaoning, del Gansu, del Jiangsu, del Sichuan e dello Hunan. Ogni anno, oltre 100.000 operai venivano impiegati dalle autorità imperiali per le attività di estrazione dei minerali ferrosi (Hanshu, Gangyu zhuan). Dai resti di una fonderia statale di quell’epoca, venuti alla luce a Gongxian (Henan), si evince che in tali impianti venivano effettuati cicli completi di produzione, che includevano la selezione del minerale, l’arricchimento, la fusione e la realizzazione del prodotto finito. In un altro sito di epoca Han, a Guyingzhen presso Zhengzhou, è stato rinvenuto un crogiolo di dimensioni ragguardevoli (la base ha una superficie di 8,4 m2, mentre il volume complessivo è di poco inferiore ai 50 m3). Oltre all’intervento diretto di alcuni sovrani, lo sviluppo scientifico è stato spesso incoraggiato da personaggi che detenevano posizioni di grande potere a corte. Uno di questi fu Gao Huan, che alla fine della dinastia dei Wei settentrionali (386 – 534) dispose l’istituzione di un collegio destinato ad accogliere individui particolarmente dotati nel campo delle scienze e delle tecniche. La sezione biografica della Storia delle dinastie settentrionali (Beishi) menziona sei allievi di questa scuola che raggiunsero la celebrità: le loro specializzazioni erano la scienza dello yin e dello yang, la matematica, l’astronomia, lo studio del Classico dei mutamenti (Yijing), la metallurgia, la medicina. È significativo che alcuni di loro non fossero cinesi. Oltre al privilegio di essere consultati a corte, questi studiosi godevano di condizioni estremamente favorevoli per la ricerca e lo scambio di conoscenze. Qimu Huaiwen, per esempio, nel collegio ebbe modo di confrontarsi con sapienti dell’etnia Ruanruan (da molti storici identificata con gli Avari) sui rispettivi metodi di calcolo rapido. In generale, gli imperi della Cina antica e medievale si sono distinti per una grande apertura verso il mondo esterno, che non si sarebbe più riproposta dalla dinastia Song (960 – 1279) in poi. Gli intensi scambi culturali che ne sono derivati hanno favorito l’introduzione di nuove conoscenze dai paesi stranieri, che hanno arricchito la scienza cinese tanto sul piano teorico quanto su quello delle applicazioni tecnologiche. In epoca Han, un segno tangibile di questi contatti erano le varietà di prodotti agricoli venute dall’estero, come l’uva, il melograno, il noce, l’erba medica, il sesamo e altre ancora. Nel corso del periodo di divisione tra Nord e Sud, caratterizzato da un pluralismo culturale oscillante tra conflitto e fusione, e soprattutto sotto le dinastie Sui e Tang, la Cina è stata raggiunta da un flusso ininterrotto di nuove conoscenze scientifiche provenienti dall’estero, soprattutto dal mondo indiano, da quello iranico e da quello arabo. In epoca Tang, il contributo culturale straniero fu particolarmente significativo nei campi dell’astronomia, della matematica e della medicina.

Roma, 30 Luglio 2015

Alexia Perazzi