Nella seconda metà del secolo diciannovesimo, negli anni appena antecedenti alla comparsa della corrente degli Impressionisti francesi, prese corpo in Italia un tipo di arte a “macchia” destinato tutt’oggi a far suscitare una più profonda riflessione intetica e creativa, quasi una rivisitazione più propositiva in chiave concettuale che ha originato, tra gli esperti e studiosi d’arte, una più attenta analisi di giudizio. E nella vita, si sa, l’unico giudice è il tempo capace, con i suoi tempi di maturazione e le riflessioni cicliche, di saper rimettere nella loro giusta dimensione tutte le cose che gravitano attorno. Tant’è che tale movimento occupa giustamente oramai, una posizione decisamente più adeguata tra le correnti del panorama artistico italiano. Suoi sostenitori erano un gruppo di artisti antiaccademici, molto capaci ed atti a riprodurre la realtà dal vero, il cui esordio fu quantomeno curioso. Infatti, nel 1862, un critico d’arte scrivendo sulla Gazzetta del Popolo, osò appunto definirli in modo spregiativo “Macchiaioli”, mentre successivamente tale termine fu propositivamente interpretato dall’accademico fiorentino Telemaco Signorini, autore di molti scritti in loro difesa (“Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangelo”, 1893) e di cui divenne, lui stesso, personalità eminente. Questi pittori erano soliti riunirsi in via Larga, oggi via Cavour, al Caffè Michelangelo di Firenze nel periodo tra il 1855 e il 1867, durante il difficile e drammatico processo di unità nazionale e, a livello artistico, in piena atmosfera verista.
Erano giovani della vicina Accademia con il grande desiderio di confrontarsi tra loro alla luce degli aggiornamenti artistici provenienti dalla confinante Francia. Ma vediamo sinteticamente come tale corrente andò evolvendosi. Nel 1855, Francesco Saverio Altamura e Serafino De Tivoli, al ritorno dalla visita all’Esposizione Universale di Parigi, fecero conoscere agli artisti del Caffè le novità dell’arte francese contemporanea introducendo i temi della “Scuola” di Barbizon, una corrente pittorica che aveva come desiderio realizzato quello di dipingere paesaggi in una gamma cromatica esigua con preferenza per neri e bruni. Ricordiamo T .Rousseau, C. Jacques, J. Dupré, C.F. Daubigny fra i suoi maggiori esponenti. In particolare, Saverio Altamura suscitò nei giovani l’interesse per una nuova tecnica chiamata “ton gris” la quale consentiva di guardare le cose attraverso il riflesso di uno specchio scuro, filtrando nettamente i contrasti, per l’appunto, del chiaro-scuro. In realtà già da tempo era iniziata a Firenze la sperimentazione sulla macchia e sull’effetto della luce-colore , ma Morelli, Altamura e De Tivoli rielaborarono tali studi e li fecero emozionalmente divampare. Sono la luce e il colore che danno struttura alle cose: la luce colpisce l’oggetto e viene rinviata al nostro occhio come colore, che ci ridona il contatto, con la realtà restituita nel quadro dai Macchiaioli come composizione a macchie.
Le alterne vicende del risorgimento prima, della monarchia e dell’unità nazionale poi, sfociarono in accesi dibattiti, prese di posizione, svolte stilistiche di cui i Macchiaioli si avvalsero per portare avanti la loro idea come rappresentazione del “…vero come lo vediamo e amiamo; .…e tornare al ‘400 solo con un nuovo indirizzo” (Giovanni Fattori), vale a dire, con un rinnovamento delle arti figurative in senso realista per dare un contenuto sociale e umanitario all’opera d’arte mediante la raffigurazione degli aspetti più umili della vita quotidiana, secondo un fondamentale impegno di verità.
E’ utile ricordare che prima della formazione dell’unità d’Italia, la pittura nostrana era essenzialmente produzione di tipo regionale ed anche il turismo aveva creato un’ampia domanda di immagini-souvenir incoraggiando il discorso degli stereotipi e del pittoresco, avvantaggiando artisticamente la componente geografica a scapito, invece, di un’arte riconoscibilmente nazionale. Negli anni successivi all’unità però, si affermarono gli orientamenti naturalistici e crebbero gli scambi culturali e commerciali di opere tra le maggiori nazioni europee. Spinti da tale vivacità culturale, molti artisti aprirono gallerie d’arte private in Italia e all’estero ed ebbero così la possibilità di svolgere la loro carriera fuori delle Accademie, diffondendo un collezionismo vivace e cosmopolita.
L’atmosfera storico -politica in cui vissero i Macchiaioli quindi, antecedente al 1870, fu confusionaria e irrequieta ma densa di stimoli e fermenti creativi. Intorno alla metà del diciannovesimo secolo si avvertiva tra i giovani artisti un singolare disagio che fu espresso con la ribellione sociale e con la volontà di reprimere i generi pittorici tradizionali e fino ad allora predominanti, tra cui il Romanticismo.
Il momento storico è quello preparato dai Moti Carbonari, dalla politica strategica di Camillo Benso Conte di Cavour, dall’ideologia educatrice della Giovine Italia di Mazzini, dalle spedizioni sul campo di Giuseppe Garibaldi: la nazione è in piena attività militare per il raggiungimento della tanto agognata liberazione dalla servitù straniera. L’arte italiana comincia ad assorbire i fermenti di innovazione provenienti dal resto d’Europa e l’opera dei Macchiaioli, comunque, costituisce il maggiore sforzo e l’unica vera testimonianza di adeguamento della tradizione italiana al rinnovamento artistico europeo.
Anche lo spirito culturale è scevro da ogni frivolezza e mentre gli Impressionisti francesi, qualche anno dopo, raccolti i frutti della rivoluzione, ritrarranno prostitute e ballerine accomodanti alle richieste di una disimpegnata borghesia, i Macchiaioli italiani riportano sulla tela le tristi esperienze di guerra e di morte fatte personalmente sui campi di battaglia (“ Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta”, G. Fattori, 1861) o la vita umile e quotidiana di gente semplice ma dignitosa (“Gente della Maremma”, G. Fattori), divenendo così importanti fautori delle manifestazioni pittoriche del verismo sociale.
Dal punto di vista prettamente tecnico ed artistico, i Macchiaioli rifiutarono forma e disegno a favore della “macchia”, abbozzo sommario senza cura dei contorni in cui il colore veniva ricercato per effetto dei toni. Abolirono il tradizionale chiaro-scuro e fecero un punto di forza dell’accostamento tra colori-luce e colori-ombra ottenendo una grande resa atmosferica molto suggestiva. La macchia di colore spiccava di solito su uno sfondo vero che andava dal bianco di un muro all’azzurro di un cielo; volumi ed ombre, prospettive e spazi erano dati solo dai colori e dai toni graduati della luce. Quando G. Fattori era studente all’Accademia , T. Signorini dipingeva romanticismo e S. Lega seguiva Mussini, S. De Tivoli e i giovani della “Scuola di Staggia” si appassionarono e ripresero la filosofia del paesaggio , tema che era ormai desueto nella tradizione toscana, lasciandosi alle spalle i contenuti legati alla storia antica e alla riproduzione d’interni.
Successivamente il paesaggio fu semplificato fino alle sue strutture essenziali , si pose fine alla tematica religiosa e fu preferita la bellezza del vero come personificazione di un interesse sociale ben definito e di un orientamento politico di tipo democratico.
Nel 1862 il Caffè Michelangelo fu chiuso e, con esso, ebbe fine anche il periodo eroico della “Rivoluzione della Macchia”. Dopo il 1870 si accentuò nel gruppo una maggiore tendenza a realizzare bozzetti svantaggiando di conseguenza il più solido, e fino ad allora, esternato realismo.
E’ nostra opinione personale, stante il particolare momento storico-sociale legato al tentativo dell’unità d’Italia, che tale corrente fu verosimilmente frenata nel suo sviluppo creativo e concettuale in quanto le possibili sinergie economiche della borghesia e dei mercanti erano pressoché interamente devolute all’impegno di armare le truppe e creare intese politiche. Pertanto, tale movimento non poté mai beneficiare delle attenzioni dei mass-media sia industriali che politici, quindi non ebbe la possibilità di solidificarsi per travalicare i confini imposti dalle avverse condizioni storiche.
Infatti, andò esaurendosi dopo aver inutilmente tentato di superare i confini regionali per divenire il nuovo linguaggio figurativo dell’Italia del Risorgimento.
Si chiude, con i Macchiaioli, una significativa parte della capacità trasformista di questo particolare secolo artistico gravido di valori assoluti sia per impegno che per bravura, ma anche denso di tradizioni vere e rivoluzionarie. Un’epopea che ha saputo reagire agli archetipi del tempo dando le prime sferzate energiche alle tante concezioni dell’arte, trasmettendo alle masse un modo nuovo di vedere e concepire arte: “l’ingegno creativo non può essere più solamente visto a livello emozionale, bensì dev’essere comunque interpretato e valutato, senza pregiudizi, a livello concettuale”.
E noi, entro i limiti di un’arte generata in forma intelligente e non insultante, ci uniamo in coro!
Escursus macchiaiolo dei più importanti esponenti di questo gruppo.
• Giovanni Fattori diceva che “L’arte deve trarre ispirazione dalle manifestazioni della natura e dall’impegno sociale” e infatti temi ricorrenti e costanti in tutte le opere furono i paesaggi, la gente della Maremma e la vita militare spesso rappresentata con crudo e amaro realismo. Abbandonò il chiaro-scuro romantico molto gradatamente a favore del contrasto a “macchia” di luce e del colore di grande nettezza (“La Rotonda di Palmieri”; “Signora al sole”). Per creare effetti suggestivi usò anche tavole e cartoni lasciandone trasparire le venature e la grana ( “La Sardigna a Livorno”). Molti furono anche i ritratti di evidenza plastica (“La Nipotina”; “La cugina Argia”; “La terza Moglie”). Realizzò anche acquerelli e acquaforti: i cieli graffiati, i contrasti in bianco-nero e la semplificazione formale sono le sue più originali caratteristiche.
• Federico Zandomeneghi si dedicò soprattutto ai soggetti del verismo sociale (“I poveri sui gradini del convento dell’Ara Coeli a Roma”). A Parigi, nel 1878, si avvicinò alla pittura degli Impressionisti restando però legato al verismo e alla sua speciale concezione cromatica tra il timbrico e il tonale (“La Senna”) e nel 1890 si accostò ai modi di Renoir (“ Signora col ventaglio” ; “ Conversazione”).
• Telemaco Signorini fu personalità preminente nel gruppo dei Macchiaioli per cultura e intelligenza critica, risentì dell’influsso di Degas che conobbe in Francia (“La toilette del mattino”,1898) e affrontò temi di protesta sociale (“Carcerati”, 1896). Davvero preziose le opere di immediata resa del vero (“Novembre”,1870; “Bambina che scrive”; “Case al sole all’Elba”);
• Silvestro Lega, prima di essere macchiaiolo, fu allievo di L. Mussini, rappresentante del movimento purista, (intento di questa scuola fu quello di ricondurre l’arte a una più pura ispirazione religiosa sull’imitazione dei primitivi toscani usando, tra l’altro, contorni morbidi e colori chiari) e pur abbracciando i cambiamenti innovativi, in alcuni quadri resterà sempre affascinato dalla purezza lineare e dalla tavolozza chiara appresi dal suo maestro (“Il pergolato”; ”Il canto dello stornello”). Giunse alla “macchia” definitivamente verso il 1863 (“ Una veduta di Piagentina”) annullando i contorni e vivacizzando il colori (“Bambine che fanno le signore”; “La popolana”);
• Serafino De Tivoli viaggiò a Parigi dove conobbe G. Courbet ed E. Manet e assimilò il naturalismo romantico di T. Rousseau, di C. Corot, più in generale della scuola di Barbizon. Tornando a Firenze fondò la “Scuola di Staggia” portando le sue idee innovatrici sul “tono” e sugli “accordi “ che tanto influirono sui Macchiaioli (“L’Antica pescaia di Bougival”). Fu il teorico del gruppo e la sua attività terminò quando si trasferì all’estero.
• Adriano Cecioni fu scultore, pittore e scrittore d’arte. Insieme a Signorini fu teorico e animatore del gruppo, e nel 1872, a Londra, fece conoscere con i suoi scritti l’orientamento verista dell’arte italiana. Ricordiamo di questo artista anche ritratti ironici e briosi (“ La Madre”,1880);
• Giovanni Costa dipinse la campagna romana insieme a J. B-C. Corot e i suoi paesaggi costruiti a macchie tonali ebbero molta influenza sui Macchiaioli in particolare su Fattori;
• Giuseppe Abbati: rammentiamo le sue freschissime impressioni dal vero e i suggestivi scorci della periferia fiorentina (“ Stradina al sole”);
• Altri esponenti:
• De Nittis Giuseppe;
• Boldini Giovanni;
• Sernesi Raffaello;
• Borrani Odoardo;
• D’Ancona Vito;
• Banti Cristiano;
• Cabianca Vincenzo.
M° Internazionale d’Arte Mario Salvo