Ci sono molti modi per descrivere la sofferenza, l’abbandono e la violenza. A volte il mezzo più “semplice e leggero”, la favola, è anche quello più efficace. È questo il caso di “La città in fondo al mare” di Mauro Grimaldi, che arriva dritto al cuore e che insegna agli adulti a tornare bambini e ai bambini a riflettere da adulti, perché l’indifferenza si può combattere solo con l’amore e con i buoni sentimenti. Incontriamo l’autore in una nota libreria del centro storico di Roma, al termine di una affollatissima presentazione.
Perché ha scelto di scrivere proprio una favola per raccontare un tema delicato e attualissimo come quello dell’immigrazione?
Vorrei arrivare dritto al cuore dei più piccoli, sensibilizzare la loro coscienza in maniera corretta, senza strumentalizzazioni. Oggi dobbiamo essere consapevoli del fatto che nessun argomento è tabù per un bambino perché non vive in un’ampolla di vetro ma è soggetto, sia attraverso il web e i mezzi di comunicazione, ad una serie di messaggi senza filtro, spesso crudi, altre volte strumentali, altre manipolati. Quello che vorrei stimolare è un dialogo tra il bambino e la famiglia, tra il bambino e la scuola, portarlo ad una serie di riflessioni, a confrontarsi su questi temi in modo sereno in un ambiente familiare.
“La città in fondo al mare” è una utopia, una speranza o una realtà da costruire nel tempo?
È un’utopia che si trasforma in speranza per poi diventare realtà. Una città alla cui base c’è la tolleranza, l’accoglienza, la non violenza. Dove le diversità diventano ricchezza. Dove ai valori materiali della vita si sostituiscono i valori della convivenza.
A quale personaggio regalerebbe simbolicamente la copia numero uno del suo libro?
Mi piacerebbe regalarlo al Papa. Trovo Francesco un grande portatore di valori, un paladino della tolleranza. Il suo è un percorso di grande impegno che sta lasciando il segno. Capisco che non sia facile cambiare il modello culturale che stiamo attraversando in questo periodo storico, quello dell’intolleranza, della violenza, dell’insensibilità ma avere un riferimento come lui è importante.
Quale è l’arma più forte per combattere l’indifferenza?
La presenza, la partecipazione, il non girarsi dall’altra parte e fare finta di niente. Bisogna far sentire la nostra presenza per difendere le conquiste sociali che abbiamo fatto in questi anni senza delegare ad altri quello che potresti fare tu. Giorgio Gaber, in una sua vecchia canzone diceva che la libertà è partecipazione. È su questo che dobbiamo costruire il nostro futuro a costo di partire da un libro di favole.
Sabrina Trombetti