Venerdì pomeriggio a Napoli, nel foyer gremito del San Carlo, prima della presentazione dell’ultimo libro di Marcello Veneziani (“Vico dei miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano”, Rizzoli), si sarebbe dovuta svolgere l’annunciata cerimonia di scoprimento della targa dedicata a Paolo Isotta: storico della musica e scrittore, critico da leggere comunque fosse, personalità originale e capricciosa – ma il capriccio che poi deborda in fantasia è dell’arte, no?, cultura sterminata e senza tema di nessuno. Ebbene, decisa all’unanimità dal consiglio comunale, la targa è lì ma la cerimonia vera e propria non c’è stata. Ed è vero, Isotta detestava i pennacchi, era anche iperumorale e una specie di funzione simile l’avrebbe seccato di un bel po’. Sarebbero corsi giù strali terribili, dall’alto a noi mortali. Quindi, meglio così. Ma nei giorni scorsi c’è stato qualcuno che gli ha lottato contro, ignorando il “parce sepulto”, sconoscendo umanità, buon gusto e perfino scaramanzia. Irriconoscente, ha combattuto per gli affari suoi la battaglia più vile, quella contro un morto. Eppure, l’assente, che gigante era e resta, ha vinto; e al vivo di deludente fatta non resta che l’onta d’aver perso pure contro chi è tra i fu. La targa sta lì. Messa senza cerimonia, piccola e nascosta come la dignità di chi in teatro, pavido, l’ha realizzata tale. Ma è lì e starà lì per sempre, nel foyer del Real Teatro di San Carlo, come il consiglio comunale dei napoletani ha deciso senza che si levasse voce contraria. Ieri, al nome di Paolo Isotta ben detto da Veneziani, la sala è esplosa in un applauso lunghissimo e tutti in piedi. Perché, vichianamente, esiste una saggezza del popolo che è saggezza del cuore e ai cuori parla, valicando le
miserie di quelli ai quali è muta. Isotta avrebbe riso pensando a San Gennaro, che fa ’o miracolo pure attraverso l’abiezione.
Redazione The Envoy