Incessantemente, ogni giorno, se non con ancor maggior frequenza, ci sentiamo promettere la risoluzione di tutti i nostri problemi, il miglioramento delle nostre condizioni di vita, la definitiva riforma di quel servizio che proprio non funziona, l’ammodernamento di ogni comparto della nostra organizzazione sociale e via dicendo.
Ci viene evidenziato tutto ciò che non va bene, punto per punto, con dovizia di aggettivi che si riferiscono a ciascuno di essi, cosicché l’enfasi linguistica colga più efficacemente nel segno, ci si indigni, si arroventi il clima, sia chiaro che così com’è proprio non va.
Udiamo prometterci “epocali” (è proprio questo il termine più in voga) riforme di ogni settore della società in cui viviamo, semplificazioni, ammodernamenti, efficientamenti, sburocratizzazioni all’esito delle quali la qualità della vita sarà indubbiamente migliore.
Tuttavia, ci si guarda bene dal definire con esattezza ed in modo agevolmente verificabile, come fare, attraverso quali mezzi, in quanto tempo, nonché con quali metodi si possano superare procedure che appaiono inattaccabili e che vengono accanitamente difese da chi fruisce con profitto dello status quo.
No questo no. Questo è un altro discorso.
Per il momento ciò che importa è ottenere le posizioni ambite, poi si vedrà.
Troppo spesso coloro che si impegnano, alla stregua di veri demiurghi, in articolati ed eclatanti programmi, sanno bene che non potranno dar seguito ai loro giuramenti.
Ed allora, vorrei tentare di offrire una chiave interpretativa analizzando con attenzione, sebbene sinteticamente, il fenomeno.
Esso, a dire il vero, risale nel tempo.
Si tratta della demagogia, in ordine alla quale sono cambiate le prassi ed i tramite, ma non la sostanza di un esercizio dialettico divenuto, ormai, una “professione”.
La parola trae origine dal greco antico demagogia (δημαγωγία), la quale si compone di due derivati colti, il primo demos significa popolo (δῆμος), il secondo ago vuol dire conduco, trascino (ἄγω), quindi la locuzione completa sta a dire “conduzione del popolo”.
La demagogia, dunque, in principio indicava genericamente “l’arte di guidare il popolo”.
In seguito ed ancora nell’antica Grecia, il lemma venne utilizzato per individuare l’azione volta a conquistare il potere accaparrandosi il consenso delle masse popolari blandendo le loro aspirazioni, in particolar modo di natura economica e sociale, con promesse difficilmente realizzabili.
Nell’ambito della storia del pensiero politico il termine è riconducibile alla tripartizione aristotelica delle forme di governo, nella quale la demagogia rappresenta un aspetto degenerativo o corrotto della politèia (πολιτεία), decadimento in esito al quale si instaura un governo dispotico delle classi inferiori dominato dai demagoghi, i quali sono definiti da Aristotele stesso «adulatori del popolo».
Già il grandissimo storico ateniese Tucidide, nella sua opera “La Guerra del Peloponneso”, definì “demagoghi” (ovvero capi popolo) quegli Ateniesi che dopo la morte di Pericle (avvenuta nel 429 a.C.) tentarono di prenderne il posto circuendo e seducendo l’assemblea del popolo ateniese con illusorie promesse, nonché istigandola contro gli avversari politici.
L’illustre filosofo Platone nei suoi memorabili scritti, in particolare nel “Politico” e nelle “Leggi”, spiegò la demagogia come: “nient’altro che la forma di governo corrotta che deriva dallademcrazia, forma corrotta del governo di molti.”
Insomma, tenendo bene a mente le tre forme di governo teorizzate da Aristotele, secondo il grande filosofo, la demagogia rappresentava la “degenerazione della democrazia”, che in seguito Polibio definì “oclocrazia”.
Nonostante Platone ritenesse che, in assenza di una costituzione mista, tra le forme corrotte di governo (tirannide, oligarchia, demagogia) la demagogia fosse la meno deleteria, tuttavia essa costituiva pur sempre un sistema traviato.
Naturalmente di diverso avviso era proprio Aristotele il quale, al contrario, percepiva la demagogia come “la peggiore tra le forme di governo”.
Narrando dell’antica Roma anche lo storico Polibio fece riferimento alla demagogia riferendosi, nelle sue “Storie”, al console romano Caio Flaminio, reo di volersi accaparrare a tutti i costi il favore popolare e delle truppe, anche e soprattutto attraverso blandimenti e promesse di grandi vantaggi.
Del resto, come importanti studiosi contemporanei hanno sostenuto, proprio in Polibio, ai termini demagogia, demagoghi e demagogici furono attribuite accezioni puramente deteriori.
Si trattava, in breve, di una condotta, di persone e di metodi che perseguivano, per fini perversi, l’intento di catturare il favore delle masse adulandole.
Tale singolare pratica, tesa ad ingraziarsi i consensi del popolo, divenne col tempo un modus agendi di figure politiche di censo diverso.
Tribuni della plebe, oratori, generali o ricchi senatori patrizi presero a perseguire i loro disegni promettendo benevolenze e denari alle diverse fazioni popolari, al fine di ottenerne l’appoggio.
Lo stesso Gaio Giulio Cesare, generale, dittatore e letterato romano, patrizio fattosi democratico non si esimette dal far ricorso alle più plateali forme di demagogia per perseguire i suoi fini politici e realizzare i suoi ideali.
Stesso contegno tenne, in seguito, l’imperatore Augusto e, pressoché, ogni politico che volesse garantirsi il successo attraverso il sostegno popolare.
La storia dei popoli, delle nazioni e delle loro organizzazioni sociali, in altri termini, è pervasa da condotte demagogiche appannaggio, nei diversi momenti, dei loro protagonisti.
In ogni era tali atteggiamenti si sono fondati sulla volontà di avere a “basso costo” il supporto popolare, declinando il coraggio e l’onestà intellettuale di consegnare all’uditorio realtà scomode o contingenze drammatiche, ciò che indurrebbe nel rischio di veder scemare quel supporto.
Si potrebbe proseguire nell’elencazione degli esempi storici di azioni demagogiche, accorgendoci di come non vi sia soluzione di continuità sino al nostro tempo.
Non credo, invero, si possa dubitare della perniciosità e perfino del netto contrasto con l’etica sociale e politica di tali pratiche.
Di sovente, per l’appunto, i demagoghi fanno leva sui più immediati e reconditi bisogni sociali, nonché su impulsi irrazionali, in modo tale da essere in grado di alimentare la paura, il risentimento, la rabbia e, non di rado, sinanco l’odio nei confronti dell’avversario politico o di coloro che hanno opinioni diverse dalle loro, o ancora verso antagonisti e rivali.
Questi ultimi, oltre a ciò, vengono di norma utilizzati come veri e propri capri espiatori ed immediatamente additati per essere artefici di ogni male o addirittura “nemici pubblici”.
I demagoghi stessi contano, per giunta, sul fatto che le indiscriminate invettive contro gli avversari, i critici o gli oppositori, permettano loro di costituire un “fronte unitario”, motivato temporaneamente dalla causa o lotta comune e dunque scevro da dissenso interno.
Sotto il profilo pratico i mezzi demagogici più comuni consistono nell’impiego di una terminologia politica derisoria nei confronti degli avversari caratterizzata, oltretutto, da sistematica e clamorosa enfatizzazione degli effetti negativi delle loro attività, nonché ricca di ostinate strumentalizzazioni.
La società moderna, che è una società di massa mediaticamente indirizzata, non affida più le proprie estrinsecazioni demagogiche a singoli “uomini-guida” o ad “uomini della provvidenza” del genere Libertador, Duce, Caudillo e simili.
Oggigiorno gli strumenti della demagogia coincidono con la mercificazione onnipervasiva e con la diffusione di pseudo-valori capillarmente trasmessi tramite i media, i social networks ovvero attraverso quell’universo spettacolar-popolare, la cui valenza è, per lo più, deviante o aberrante.
Una forma simile di demagogia si fonda sugli scarsi livelli in cui versa l’alfabetizzazione di massa, cui corrispondono altrettanto limitati e discutibili piani culturali, che a volte (non sporadicamente purtroppo) cagionano un diffuso offuscamento ed affievolimento della funzionale acutezza e vivacità indispensabili per sviluppare un’adeguata capacità critica.
In un contesto quale quello appena descritto, ovviamente, la politica demagogica converge con quella del panem et circenses.
Espressione per mezzo della quale il poeta latino Giovenale sintetizzò le aspirazioni della plebe, mentre in epoca contemporanea, compendia le strategie politiche demagogiche.
Ed allora, non può sfuggire che oggi la demagogia sia divenuta addirittura una parte del populismo, il cui obiettivo primario, se non esclusivo, è la perenne costruzione ideologica del consenso.
Impresa, quest’ultima, che si concreta in un rapporto di influenza che può divenire biunivoco, ossia anche dal basso verso l’alto.
In altri termini, i processi decisionali possono essere e spesso sono influenzati da algoritmi costruiti per intercettare il consenso o da sondaggi d’opinione in grado di riferire gli umori che connotano un determinato momento storico, cui i demagoghi prontamente si conformano, proponendo l’attuazione di quanto hanno scoperto essere tale da riscuotere maggior gradimento.
Ebbene, così si torna al senso oggetto della definizione enciclopedica di demagogia, cioè l’uso di parole ad effetto per attrarre consenso.
Mi pare corretto, a questo punto, sollecitare l’attenzione ancora oltre, ovvero sulla constatazione della crescita di tale pratica arrivata, ormai, a pervadere la società contemporanea.
La prassi demagogica che, come abbiamo appurato, nacque e si sviluppò nei sistemi organizzativi sociali più antichi e culturalmente brillanti per affabulare il popolo e conquistarne consenso e sostegno a fini politici, nell’epoca attuale viene, invece, adoperata ampiamente da chiunque desideri assurgere, in qualsivoglia ambito, al ruolo di demiurgo, leader o di problem solver .
Siffatta prassi non investe più solo politici o aspiranti tali, i quali ambiscano a ricoprire ruoli pubblici, bensì attrae e compromette anche soggetti che aspirino a conquistare un posto di rilievo in un consiglio di amministrazione, in un comitato, in un’associazione o in ente privato qualsiasi.
Il fenomeno trova un humus ideale anche negli spazi offerti dalla diffusione dei c.d. social networks.
Un territorio virtuale nell’ambito del quale sembra che ogni cosa sia consentita, ogni tesi si possa sostenere, chiunque possa essere fatto oggetto di attacchi ed accuse, un ambito ove si può formulare ogni sorta di programma e promessa, offrendo soluzioni ad ogni problematica ed il tutto senza concreta possibilità di contraddittorio e confronto, se non virtuale.
D’altra parte, è pacifico che le responsabilità per le proprie esternazioni demagogiche, seppure gravi, false e nocive, siano prossime allo zero, malgrado esse spesso risultino connotate da aggressività ed perfino da violenza tali da destare preoccupazione.
Il demagogo “virtuale” cui tutto è concesso, in fondo, nella peggiore delle ipotesi non riceve compiacimenti (likes), con eventuale nocumento solo per il proprio narcisismo.
Malauguratamente, tale prassi ha ormai compenetrato anche ulteriori e più importanti contesti.
Ci vien dato di assistere quotidianamente a confronti mediatici e virtuali tra soggetti i quali prospettano soluzioni ad ogni problema dal contenuto palesemente demagogico, ben comprendendo di come si tratti esclusivamente di captatio benevolentiae, cui quasi mai segue un’azione concreta.
Fortunatamente, molto spesso, la parabola di tali soggetti presenta caratteristiche effimere al pari delle loro millanterie, che la guidano verso il declino, così come precari ed inconsistenti sono i loro proclami ed i loro ideali.
La mia opinione è che vi sia l’impellente bisogno di ripristinare i contenuti etici, non solo nella politica ma in ogni contesto sociale umano.
Intendendo con ciò la necessità del recupero di valori ideali, politici e metapolitici, sui quali fondare i propri comportamenti, nel tentativo di offrire un contributo al bene comune.
Questo nella piena consapevolezza delle difficoltà sottese ad un percorso siffatto.
In tale prospettiva, che costituisce anche un auspicio ed una speranza, la demagogia, in ispecie quella di basso livello che sfocia nella denigrazione dell’altro, che rappresenta ben altra cosa rispetto alla critica ed al dissenso, non trova collocazione.
Vorrei concludere questo mio breve scritto mutuando le memorabili parole di un grande uomo Abramo Lincoln, schivo e misurato ma mai parco di contenuti sui quali riflettere: “La demagogia è la capacità di vestire le idee minori con parole maggiori.”
Rolando Grossi