PATRIMONI PREVIDENZIALI: GLI INVESTIMENTI DELLE RISORSE TRA VINCOLI DI RISULTATO E SVILUPPO DEL PAESE
Il Convegno di Primavera organizzato da Itinerari Previdenziali, quest’anno presso la sede della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, è stato articolato quest’anno in una doppia sessione: quella mattutina che ha affrontato un tema molto dibattuto nel panorama politico attuale: “Patrimoni previdenziali: gli investimenti delle risorse tra vincoli di risultato e sviluppo del Paese”, con l’obiettivo di dare concrete risposte alla sfida di coniugare la mission degli operatori previdenziali – il pagamento di pensioni e prestazioni di welfare adeguate – con lo sviluppo del sistema Paese attraverso investimenti che possano favorire l’occupazione, la produttività e la crescita economica.
Il punto fondamentale da discutere per l’Italia è in sostanza la necessità e la giustezza di utilizzare il TFR, che è circolante interno del sistema produttivo, per investirlo all’estero, sottraendolo quindi al grande bisogno di liquidità delle nostre imprese in un paese in cui le famiglie hanno accumulato un ricco risparmio (oltre 3 mila miliardi di euro) e gli operatori previdenziali dispongono di un patrimonio superiore ai 250 miliardi di euro, solo una piccola parte del quale è investita nel Paese. Oggi sono investiti infatti in Italia circa l’1,5% in azioni e il 30% in titoli di Stato; quasi zero verso le nostre aziende, alle quali sono prelevate sia contributi e sia il TFR per la previdenza complementare. Come convogliarne, dunque, una parte in sviluppo e imprese? Aiuterà il Decreto n. 166/2014 e il decreto sul Credito d’Imposta?
La sessione pomeridiana invece è stata argomentata intorno al titolo “Etica e welfare fra diritti e doveri”, ha fatto un excursus, partendo idealmente dalla Dichiarazione Americana dei Diritti e dei Doveri dell’Uomo del 1948 la cui frase di apertura è emblematica “Diritti e doveri sono interrelati in ogni attività umana, sociale e politica. Mentre i diritti esaltano la libertà individuale, i doveri esprimono la dignità di quella libertà”, per approdare al dualismo tra solidarietà e responsabilità, tra diritti e doveri, questioni tuttora aperte, ma fortemente condizionate da ideologia e preconcetti
Il primo dibattito è stato introdotto dal dott. Enrico Cibati Responsabile Direzione Investimenti Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Forense, presieduto dal prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
Altri interventi sul tema “Gestori e Fabbriche Prodotto a confronto tra rendimenti attesi e sviluppo” hanno visto il confronto tra il dott. Timothy Blackwell Head of Core Investments & Head of Real Estate Investment Management Credit Suisse Asset Management, la dott.ssa Filomena Cocco Director di Muzinich l’Ing. Vito Gamberale Chairman di Quercus Investment Partners ed il dott. Giorgio Mercogliano di Partner Equinox, nonché del dott. Robert J. Tomei Fondatore e Presidente di Advanced Capital
Hanno invece descritto ed affrontato le soluzioni possibili degli operatori previdenziali il dott. Marcello Bertocchini Direttore Generale Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, il dott. Maurizio Grifoni Presidente Fondo Fon.te, la dott.ssa Oliva Masini Direttore Generale Previndai ed infine il dott. Stefano Poeta Presidente Epap.
Si è poi passato al confronto aperto tra i rappresentanti delle parti sociali e la politica con gli interventi del dott. Salvatore Casabona Vice Presidente Cooperlavoro, del dott. Biagio Ciccone |Segretario Generale Assofondipensione, del Dott. Giulio de Caprariis | Dirigente Area Lavoro e Welfare Confindustria ed infine della dott.ssa Annamaria Trovò Presidente del Fondo Pensione Cometa.
La seconda ed ultima sessione pomeridiana “Etica e welfare fra diritti e doveri” è stata condotta da Luciano Fontana Direttore del Corriere della Sera
Sul tema dei “Diritti e doveri: il giusto mix per crescere in modo responsabile” il prof. Alberto Brambilla ha così dispiegato la sua analisi nel merito: “nel nostro Paese si dibatte spesso sui motivi che ci relegano agli ultimi posti delle classifiche internazionali su competitività, sviluppo, innovazione, libertà economiche, produttività ed altre variabili. Il World Economic Forum nel suo Global Competitiveness Index basato su tre indici (Contesto macroeconomico nel quale pesa il debito pubblico e la pressione fiscale, la qualità delle pubbliche amministrazioni e la tecnologia), ci assegna un poco lusinghiero 49° posto su 144 Paesi analizzati a pari punti con Kazakhstan, Costa Rica, Filippine e Panama. Si fanno molte analisi per cercarne le cause, altre ancora per capire come sia stato possibile accumulare un così gravoso debito pubblico che peraltro rappresenta anch’esso un grande freno allo sviluppo. I motivi sono sicuramente di natura economica, di organizzazione, di eccesso di legislazione ma credo che una parte non irrilevante là si possa riscontrare nel binomio diritti – doveri. Il nostro Paese sembra infatti la patria dei diritti ma non quella dei doveri; Tutti i politici elencano una serie di diritti che secondo loro vanno implementati senza neppure conoscere a volte la composizione della nostra spesa pubblica e senza pensare che gran parte di quello che consumiamo oggi non lo paghiamo noi ma la mettiamo a debito delle future generazioni”.
Nella dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo adottata nell’aprile del 1948 si legge che “diritti e doveri sono interrelati in ogni attività umana, sociale e politica. Mentre i diritti esaltano la libertà individuale, i doveri esprimono la dignità di quella libertà“.
“…Orbene, tutti hanno diritti: alla sanità, alla scuola, alla pensione, alla casa, al lavoro e così via. Ma chi deve garantire questi diritti se non l’individuo stesso e la collettività degli individui nell’ambito delle proprie disponibilità? E come si attuano i diritti? Solo se il “collettivo” nel suo insieme adempie pienamente ai propri doveri. Ad esempio, tutti hanno diritto di essere curati e di non incappare in malasanità. Ma spesso la malasanità dipende da altri soggetti che non hanno fatto il proprio dovere. Il viadotto crollato o la strada rovinata e piena di buche, limitano i diritti dei cittadini alla circolazione e alla sicurezza; spesso non è colpa della natura avversa ma responsabilità di chi ha progettato e costruito con scarso senso del dovere. Nelle pubbliche amministrazioni (ma il concetto vale anche per le attività private) ci sono molte cose che non funzionano. Poi si scopre che tanti rappresentanti del popolo pensavano solo ai propri interessi con un senso civico del dovere prossimo allo zero”.
A guardare la cronaca emergono dati preoccupanti: i falsi braccianti agricoli scoperti, gli ispettori Inps che “taroccavano i verbali di accertamento”, i falsi invalidi a migliaia che tolgono diritti ai veri invalidi, i fatti di mafia capitale, il dovere di pagare le tasse che stride con le dichiarazioni Irpef 2014 (per l’anno 2013) da cui risulta che il 46,5% dei contribuenti (19,079 milioni) hanno redditi da zero o negativi fino a 15.000 Euro, dichiarano solo il 16,20% del totale dei redditi, cioè 130 miliardi per un reddito medio di 6.851 Euro (571 euro al mese, meno di un pensionato sociale con integrazione); l’imposta media pagata è pari a 485 Euro per contribuente ma considerando il rapporto cittadini italiani (60.782.668) su contribuenti (40.989.567) ogni contribuente ha in carico 1,483 cittadini per cui ai 19,079 milioni di dichiaranti fino a 15.000 Euro corrispondono 28.295.197 cittadini e l’imposta media annua pagata pro capite è pari a 327 Euro. Per garantire la sola sanità che costa 1.790 Euro per ogni cittadino occorre che altri paghino circa 41 miliardi di Euro.
Un Paese come l’Italia che abbia la metà della popolazione sotto la soglia di povertà come fa a garantire il diritto alla pensione, all’assistenza e alla sanità con questo pesante squilibrio diritti – doveri? Oggi, come risulta dal III Rapporto di Itinerari Previdenziali, la metà dei pensionati sono assistiti e lo Stato spende circa il 53% della spesa totale per pensioni, assistenza e sanità, occorre un fortissimo impegno, quindi, da parte di tutta la società questi diritti e libertà individuali alla base del nostro vivere sociale.
Infine a conclusione della sessione pomeridiana del convegno illuminanti sono state le considerazioni e riflessioni di Sua Eminenza il Cardinale Gianfranco Ravasi nel dialogo aperto col direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, attraverso le quali ha richiamato tutti a misurare il benessere del Paese non soltanto attraverso freddi numeri, “ma anche rispetto all’attenzione posta verso il resto della collettività: la scuola, l’educazione, il rispetto per le donne, la sanità, l’ambiente e finanche i trasporti”. Un colloquio dal nome “Etica e Welfare fra diritti e doveri” appunto nel quale Sua Eminenza ha spaziato tra considerazioni teologiche, ma anche forti richiami alla realtà, in un consesso insolito, composto da tecnici della finanza e della previdenza e rappresentanti delle parti sociali. il Cardinale ha esordito dicendo: “Un ritorno a un’economia che non sia dominata dalla finanza, ma torni ad essere l’economia del mondo, della casa. E che trovi un punto di equilibrio tra diritti e doveri”
Secondo l’analisi svolta da Luciano Fontana i padri di oggi non sempre in grado di fare fronte ai propri doveri economici verso i figli, particolarmente penalizzati da un “ascensore sociale bloccato, evidenti difficoltà a progettare le rispettive vite e trattamenti pensionistici assai meno generosi di quanto non sia avvenuto in passato”. Il Cardinale Ravasi ha inoltre sottolineato come di fronte alla situazione attuale si possa definire molle il contesto sociale in cui si muovono oggi i giovani, nel quale elevato è il rischio di perdita di identità e dominano linguaggi e relazioni profondamente differenti da quelli delle generazioni precedenti, rispetto alle quali talvolta risultano estranei.
Inevitabile il richiamo al tema del lavoro, sempre al centro dell’attenzione dei governi: “l’uomo che non lavora non si realizza, è incompleto, subisce una ineluttabile deriva – afferma il Cardinale, che aggiunge come – gli effetti del non lavoro, dunque, non restano circoscritti alla sola sfera economica”. Una considerazione che al contempo rappresenta un impegno anche per la Chiesa, “che deve fare la sua parte nei più svariati campi, tra i quali anche quelli dell’educazione e del lavoro”.
Roma 30 Aprile 2016
Marcello Grotta