Scrivere un libro non è solo la carta, l’ inchiostro, le copie da stampare e le presentazioni promozionali. Un libro è sangue che scorre, sudore su tutto il corpo, fatica, ostacoli da superare. È vita che passa inesorabilmente…e insegna. Come un papa’ che con uno spazzolino in bocca guarda il figlio e gli fa capire, con gli occhi gonfi ed in silenzio, che sì…e’ fatta…la strada può continuare insieme… Intervistiamo Mario Biglietto autore del libro “La Comodità”.
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La comodità, un libro profondo che parla al cuore e racconta la malattia in tutti i suoi risvolti fisici e soprattutto morali: quale è il messaggio che vuole trasmettere ai suoi lettori?
La Comodità non ha, nella necessità che ho sentito di scriverla, il desiderio di lasciare un messaggio. Questo libro è solo una macchia di Rorschach, ti guardi dentro, è una scusa per farlo. La malattia è stata la chiave per capire che cosa è un essere umano, per capire chi fossi io. Quando ti rendi conto che quello che sei ha bisogno di un corpo, un corpo che ti fa capire brutalmente che sei effimero, fragile, allora ti guardi intorno per cercare quello per cui vale la pena vivere. Non è la malattia a renderci fragili, è proprio la nostra essenza, quella dei sani come quella dei malati, in un film (Fight Club) il protagonista diceva una cosa giustissima “In un arco di tempo abbastanza lungo l’indice di sopravvivenza di un individuo scende a zero”, vale per tutti, bisognerebbe tenerne conto per vivere meglio. Forse potrebbe essere questo il messaggio che ci posso vedere, a posteriori.
Amore, odio, scoramento, accettazione, tanti sentimenti contrastanti: la battaglia più difficile è contro se stessi?
Non per me. Ho combattuto contro me stesso tutta la vita, non mi sono mai piaciuto, sebbene non abbia mai desiderato essere qualcosa di diverso da ciò che sono. Non ho mai capito bene cosa fosse la vita, e sto ancora cercando di capirlo, anche se in maniera più positiva. Paradossalmente la malattia mi ha dato pace. Ha azzerato la lotta contro me stesso, mi sono sentito libero da questo peso esistenziale che mi ha sempre oppresso, mi sono resettato, è stata una “Comodità” per riappacificarmi con la vita, con gli affetti, con la mia spiritualità. Fatto questo salto restano solo le sfide pratiche e il dolore, ma un essere umano in pace con sé stesso, e lo sono diventato, può affrontare qualsiasi mostro e, qualunque sia l’esito, avrà vinto la battaglia più grande, accettarsi e volersi bene per l’essere imperfetto che si è.
Quale è l’insegnamento più grande che ha imparato nel periodo di maggior sofferenza?
Questa è una domanda complicata, la risposta potrebbe essere banale e ci ho pensato parecchio prima di formularla. Direi niente. Quando si soffre davvero si regredisce a uno stato animale, uno stato in cui l’energia per pensare non c’è, la usi tutta per restare attaccato alla vita, dai fondo a tutto quello che hai, nel buio più completo hai solo la consapevolezza che ci sei ancora, ma basterebbe un minimo cedimento e resti in quel buio. Non c’è niente di epico da ricamare, è pura lotta, uno spasmo agonistico che non ha garanzia di riuscita, una voglia primordiale di sopravvivere che appartiene a tutti. Insomma ci si sporca le mani davvero: è sangue, sudore, fatica, niente di poetico e sublimato.
Sappiamo che ama la fotografia: se potesse fermare in una foto l’istante più importante, quello decisivo da mettere sul suo comodino, quale sceglierebbe?
La foto di mio figlio che si lava i denti con me al ritorno definitivo a casa, lui mi guarda dal basso senza smettere di sorridere, con lo spazzolino in bocca ma fermo. Già sapevo che ce l’avevo fatta perché volevo vivere ancora un pezzo di vita con lui, ma i momenti più insignificanti della vita sono quelli più belli e più personali. Quella è l’immagine del momento in cui ho avuto la consapevolezza del percorso fatto, forse è stato il momento in cui ho capito che era finita e ricominciavo a vivere, mi sono sentito libero dal male.
Sabrina Trombetti