BERRETTINI: BASTA CON I RACCOMANDATI, IN SENEGAL LA PRIMA ACCADEMIA DI CALCIO

Oro alle Universiadi nel 1997 e Campione d’Europa nel 2003 alla guida dell’Under 19 italiana, Premio Gaetano Scirea nel 2004, per non dimenticare il terzo posto europeo (2005) e la partecipazione (dopo 18 anni) ai Mondiali, sempre con gli “azzurrini”. Tutto questo (e molto altro) è mister Paolo Berrettini, maestro di calcio, ora alla guida della prima Accademia italiana in Senegal. Lo abbiamo intervistato, prima della sua partenza per il continente africano.

Mister, per oltre dieci anni come selezionatore delle Nazionali Giovanili ha visionato i migliori calciatori italiani: da quale dote si riconosce un campione?

Un potenziale calciatore si riconosce dalla testa, dalla costanza con cui affronta il campo di gioco, la grinta, la determinazione; queste sono doti fondamentali che permettono al calciatore una crescita evolutiva che fa la differenza. Possiamo trovare anche nella storia i vari casi di grandi come Messi (senza dimenticare che venne scartato ), con i suoi problemi di crescita che nonostante tutto non si è mai arreso, o il grande Pelé, e come loro molti altri. Ovviamente vi sono delle qualità tecniche e tattiche che in campo un professionista è in grado di valutare, che non stanno sempre nel calciatore già pronto, come si tende a fare oggi. Spesso riscontriamo come nella crescita le capacità rimangono le stesse senza pregressi né miglioramenti, perché già̀ arrivato al massimo dei propri livelli; questo nel calciatore con doti innate da sviluppare, seguire, formare, non accade. Si può invece notare negli anni lo sviluppo di esso, con miglioramenti sopra la media. Qui si forma il vero campione.

Nel 1997 ha vinto per la prima volta del calcio italiano le Universiadi: che cosa ricorda di quella magnifica esperienza?

Di anni ne sono trascorsi forse troppi, per cercare di ricordare minuziosamente ogni dettaglio di quell’esperienza siciliana nel 97. Di sicuro ricordo di aver fumato in modo esagerato superando il maestro Boemo, scherzi a parte! La vittoria delle Universiadi e del campionato Europeo, sono state giornate intense nelle quali quotidianamente ripetevo a me stesso che volevo vincere, ed alla fine ho vinto, abbiamo vinto, con gruppi di ragazzi capaci di non mollare mai. Ad oggi li ringrazio ancora per avermi sopportato e supportato, ci siamo divertiti lavorando sul campo con serenità̀, con grinta e siamo stati premiati. Come dimenticare nel 2003 con la nazionale under 19, la vittoria contro il Portogallo che ci portò a divenire campioni di Europa. Unico titolo in Italia con la nazionale Under 19 , che a tutt’oggi detengo solo io, in modo fiero e orgoglioso, tengo a precisare questa particolare , perché dopo 15 anni, ripeto 15 anni di vittorie, i due commissari F.I.G.C. Rossi e Albertini non mi riconfermarono (avanti i raccomandati!!), non chi ha vinto per 15 anni. Basta con il velo di omertà!! Nel calcio vanno avanti i raccomandati e i paganti, deve andare avanti chi merita!! Chi porta risultati!!

Ha ancora senso parlare di settore giovanile quando la maggior parte delle squadre più blasonate spesso, in campo, non hanno neppure un giocatore italiano?

Beh, se oggi abbia ancora senso o meno parlare di settore giovanile a mio parere non è perché vi sono molti calciatori stranieri, primo perché attualmente viviamo in una nazione di famiglie multietniche, secondo perché̀ mi duole ammettere che i giovani calciatori Italiani in maggioranza non hanno fame, manca la grinta di dimostrare in campo che valgono!! Non hanno lo spirito di sacrificio!! Quando guardo i settori giovanili , vedo giovani che solo indossando una maglia di una società̀ blasonata, si sentono arrivati, si adagiano, in campo nemmeno corrono, quasi hanno paura del corpo a corpo, non hanno quella luce negli occhi che brilla di passione e amore per il calcio, questo si è perso in Italia mentre in Africa ogni giorno vedo bambini, ragazzi, scalzi giocare ovunque, che sorridono, ambiscono al sogno, che non mollano, che combattono. Prima anche in Italia si giocava a calcio ovunque, si giocava a due a tre al muro , il pallone lo toccavi 500 volte al giorno adesso si gioca ad 11 in un campo di 50 metri il pallone lo tocchi 50 volte al giorno, logico che la tecnica non la affini, inoltre si faceva le squadre con colori differenti questo ti portava ad alzare la testa per vedere il tuo compagno di gioco. Ogni volta che guardo una partita del settore giovanile Italiana, mi viene tristezza e mi passa l’entusiasmo di vedere il calcio.

La sua esperienza in Africa: che cosa le ha insegnato principalmente e, soprattutto, con quale obiettivo ha affrontato una sfida così ambiziosa?

La mia esperienza in Africa è cominciata nel 2006 dove divento coordinatore di una squadra giovanile di una serie B in Senegalese il De Camberene, ma la vera avventura è cominciata nel 2014 dove ho firmato un triennale con il ministro dello sport per allenare e selezionare la Nazionale Under 17 e Under 20 della Repubblica del Congo, è stata dura non avendo in Congo settori giovanili sono dovuto andare di villaggio in villaggio per scovare calciatori, a livello tattico sono molto anarchici, dal punto di vista alimentare non sono abituati a seguire una dieta per atleti, tutto era molto difficile venivo criticato essendo io l’unico allenatore Italiano in una colonia Francese, volevano tornassi a casa, poi sono arrivati i primi risultati, le cose sono cambiate la fiducia e il rispetto nei mie confronti sono aumentatati e tutti mi vogliono un gran bene.

L’Africa mi ha insegnato maggiormente lo spirito di sacrificio, mi ha insegnato che è uno stato stupendo pieno di colori, sogni e ricchezze, ho potuto constatare la povertà in cui versano le famiglie Senegalesi, situazioni al limite della sopravvivenza e proprio dallo stato di miseria che vivono questi ragazzi che nasce una grande capacità volitiva, necessaria nella vita come nel calcio per raggiungere traguardi importanti.

Il calcio è visto come ancora di salvezza per questi ragazzi e le loro famiglie.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, viene spontaneo pensare come le potenzialità di questi atleti ancora in giovane età̀, siano pronte ad esplodere nel momento in cui sia data loro una qualità̀ di vita migliore riferendomi a gli aspetti igenico-sanitari e sopratutto alimentari, così come un adatto allenamento atletico e tattico-tecnico. L’esperienza della nazionale della Repubblica del Congo è stata talmente intensa che dopo ho deciso di aprire un accademia a Dakar, credo molto nell’Africa, a me ha dato molto e sono sicuro che ha molto da darmi ancora.

Non è stato facile realizzare l’accademia, essendo la prima accademia Italiana in Senegal, strutturarla, selezionare calciatori, formare un organigramma, abbiamo ambiziosi progetti che finalizzeremo nel 2019. Ad oggi posso affermare di avere un valido team, dove ognuno contribuisce alla crescita della Accademia Baobab avendo il proprio ruolo: allenatore e responsabile tecnico, Keba Gassama, segretaria a Dakar, mentre in Italia abbiamo un responsabile Marketing, e Nadia Pace che si occupa delle relazioni e comunicazioni. Insieme stiamo facendo un ottimo lavoro, portando già alcuni dei calciatori della Accademia Baobab in Italia, altri arriveranno tramite tornei che avverranno in primavera, sono molto ottimista e sicuro che l’Africa come sempre è una risorsa e non mi deluderà.

Il primo suggerimento che darebbe al nuovo Presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina?

Stimo molto il Presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, lo conosco da numerosi anni: è uno dei pochi uomini di calcio rimasto. Non ritengo di dover offrire dei consigli, credo invece che farà un ottimo lavoro.

Sabrina Trombetti