Consolidare una rete diffusa di professionisti nel mondo delle imprese in grado di operare direttamente nei mercati stranieri: questa una delle strategie in cui crede e su cui punta il manager Stefano Barbieri, Responsabile Internazionalizzazione e Relazioni Internazionali della Compagnia delle Opere a Milano. Attività, questa, frutto di una lunga esperienza. Basta lamentarsi, afferma, occorre altresì adeguarsi in fretta ai velocissimi cambiamenti del sistema.
Barbieri, in quale modo sta mettendo a frutto la sua avventura professionale?
Colsi l’opportunità di frequentare un corso in Relazioni Commerciali Internazionali e Politiche Comunitarie presso la sede ICE di Bruxelles nel 2003. Da allora mi sono sempre occupato di promozione e sviluppo di business all’estero. Cdo è un’associazione di categoria atipica, costruita su un modello federativo che aggrega associazioni Cdo locali indipendenti sia in Italia che all’estero, con peculiarità spesso molto differenti da area ad area. Non è quella che si definirebbe un’organizzazione verticale. Ho portato in un contesto associativo un approccio e una sensibilità business oriented. Ho altresì trovato relazioni che mi stanno permettendo di costruire parallelamente e a complemento delle sedi estere, una rete capillare di partner locali che rappresentano l’essenza del servizio Cdo International: una rete capillare di specialisti presenti sui direttamente sui mercati esteri.
Sembra un modello particolarmente complesso…
In realtà è un modello molto flessibile ed economico che ha il suo valore intrinseco nella capillarità e specializzazione del network di partner, con costi fissi nulli. Infatti ritengo indispensabile che il supporto avvenga direttamente sul posto con un partner che sia presente, conosca e operi sul mercato di sbocco.
Il modello alternativo e molto diffuso che adottano alcune società “specializzate” di inviare in azienda due volte al mese un TEM (temporary export manager) che produca qualche file excel e qualche telefonata a costi esorbitanti è poco efficace: ha alti costi fissi e risultati modesti perché l’internazionalizzazione si fa all’estero e non da una sedia di casa.
Ci riferiamo sempre alle piccole e medie imprese?
Ovviamente non rientrano in questa casistica le grandi imprese e in genere le PMI che già possiedono una lunga esperienza sui mercati esteri e un’organizzazione consolidata. Il target del servizio Cdo International è tipicamente una PMI che richiede accompagnamento nei passi preliminari per andare all’estero o su un nuovo mercato estero: la tipica azienda da “voucher” MISE, che non è adeguatamente organizzata e necessita di un supporto esterno.
Il sistema stesso del voucher favorisce un approccio distorto all’internazionalizzazione, in quanto tende a favorire l’affidamento a TEM con sede in Italia ma spesso senza una reale capacità di muoversi sul mercato estero. A mio avviso i partner per essere efficaci devono operare direttamente sui mercati di sbocco e non dall’Italia.
Da cosa deriva questa grande attenzione di Cdo all’universo delle PMI?
La maggior parte della base associativa Cdo è rappresentata da Piccole Imprese. Le Medie e le Grandi sono numericamente inferiori. Rispecchiamo esattamente il tessuto imprenditoriale italiano.
Da qui l’attenzione soprattutto alle piccole realtà per favorirne la crescita non solo sotto il profilo delle dimensioni e del fatturato, ma anche e soprattutto della cultura imprenditoriale, della formazione, delle responsabilità sociale. In Cdo riteniamo che il profitto non sia e non debba essere l’unico obiettivo dell’imprenditore, ma un positivo “effetto collaterale” di un organismo che cresca e si muova nella società tenendo in considerazione la centralità dell’essere umano, l’eccellenza della formazione a tutti i livelli, la dignità e il rispetto dei lavoratori, la correttezza verso i fornitori, il rispetto dell’ambiente e così via.
Questo sembra un mondo ideale, ma esistono anche fisco,burocrazia, rigidità del sistema…
Vero, ma non devono diventare alibi. Si può e si deve lavorare per un fisco meno oppressivo e una burocrazia più snella ma nel frattempo non ha senso fermarsi e lamentarsi. Il mondo corre veloce, la concorrenza è spietata, per poter competere è necessaria la capacità analitica dei trend di mercato, sapersi misurare con i concorrenti e le loro innovazioni. Internazionalizzare è anche conoscere cosa fanno o faranno i propri concorrenti in Italia e all’estero. Internazionalizzare è avere una visione sullo scenario macroeconomico internazionale anche se operi in contesto locale, capire come le nuove tecnologie possono impattare la tua competitività in giro per il mondo. Internazionalizzare è avere una lettura consapevole dello scenario politico internazionale.
Cosa fa Cdo per offrire queste chiavi di lettura?
A questo proposito è nato Sharing, evento che tutti gli anni amarzo riunisce circa 1.500 imprese in una giornata di convegni e incontri tematici con opinion leader, top, manager, professori, esperti, politici, ma anche Fabbrica per l’Eccellenza, la “learningcommunity” promossa da Cdo concepita espressamente per il target delle Medie Imprese. Senza contare le varie iniziative volte a favorire networking e confronto organizzati dalle sedi Cdolocali. Non ultimo, a Cdo è stato conferito lo status di Digital Innovation Hub dal MISE per agevolare la trasformazione digitale e l’industria 4.0 nelle imprese.
Cos’altro chiedono oggi le imprese per essere competitive?
Più che le imprese, lo richiede il sistema Italia: maggiori investimenti in ricerca, sviluppo per l’innovazione. Un’economia è tanto più competitiva, quanto più riesce a conservare la leadership nell’innovazione, ma per favorire l’innovazione è necessario investire in ricerca e sviluppo.
In Italia c’è un debito pubblico asfissiante che schiaccia gli investimenti in R&S, tra i più bassi in UE rispetto al PIL. Duole constatare che di riforme si parla da anni. Ci sono ancora troppi sprechi, troppi clientelismi, troppi cortocircuiti a livello politico e amministrativo sia locale che nazionale. In questo contesto, gli imprenditori italiani sono a mio modo di vedere, “eroici” perché nonostante le condizioni non certo attrattive in cui operano con le loro imprese (lo dimostrano i dati sugli IDE rispetto alla concorrenza di altri Paesi nostri partner nell’UE), spesso hanno successo e onorano il Made in Italy, nonostante un supporto dalla c.d. “diplomazia commerciale” non all’altezza se comparato a Paesi come Germania e Francia.
Quali aspettative nutre Cdo verso il Governo?
Bisogna dare atto degli sforzi del Governo, soprattutto con un Ministro come Carlo Calenda, che negli ultimi anni ha raggiunto diversi risultati importanti. Mi auguro che anche il nuovo Governo sappia affrontare temi cruciali quali la decrescita demografica, l’invecchiamento e le loro conseguenze sul piano del welfare del futuro, la situazione dell’INPS, ma anche gli altri temi socialmente caldi come immigrazione, sicurezza, scuola e sanità. Non posso che fare i miei migliori auguri al nuovo Esecutivo.
Un’ultima provocazione: è giusto penalizzare le aziende che delocalizzano?
Non vorrei ripetermi, ma è il sistema che deve diventare attrattivo per la permanenza delle imprese. Certo, ci sono dei business troppo labour intensive e a basso valore aggiunto che da tempo non sono più sostenibili in Italia. Proprio per questo è importante puntare su qualità, innovazione, ricerca e sviluppo. Le conoscenze, le competenze, il know-how sono la ricchezza di un Paese, se non si investe in questa direzione si è destinati al tramonto economico. L’esodo dei nostri migliori cervelli è il sintomo peggiore di una tendenza che va assolutamente invertita. Dobbiamo fare di tutto per trattenere le migliori menti nelle nostre università e le nostre aziende sul territorio. Per fare questo, ci vogliono finanziamenti e meritocrazia nelle Università insieme a fisco e burocrazia meno opprimenti per le imprese.
Sabrina Trombetti