Albero Di Majo torna a riflettere su Casaleggio, recentemente scomparso il 12 aprile scorso, a tre anni di distanza dal suo primo saggio sull’ideologo del movimento “pentastellato”, con il nuovo libro intitolato Casaleggio. L’uomo che ha sconvolto l’Italia: dall’Olivetti alla rivoluzione a 5 stelle (Castelvecchi, € 12).
Con lo stile sciolto e piacevole, che caratterizza la sua prosa, Di Majo tratteggia rigorosamente la personalità meno appariscente, ma certamente più decisiva, del M5S e non è esagerato affermare che, ad oggi, è il saggio più importante per capire, attraverso la figura di Casaleggio, il movimento grillino.
Di Majo inquadra l’avvento e lo sviluppo del M5S come l’ultimo esito del fallimento di un ventennio nato dopo la morte dei partiti della prima Repubblica e che, dal golpe mediatico-giudiziario contrassegnato da “tangentopoli” ad oggi, ha prodotto solo una lunga catena di scelte inconcludenti e negative dei nuovi partiti e di politici sempre più ridotti ad una logica ombelicale e lontana dal territorio e dalla gente. Il panorama politico, economico e sociale in cui si colloca il M5S è desolante, fortemente in crisi e con una democrazia gravemente malata, caratterizzata da un infiacchito Parlamento incapace di dare risposte utili al Paese. All’illusione “palingenetica” prodotta da “tangentopoli” è seguita da un lato la disillusione che ha determinato l’alta percentuale di disaffezione al voto e, dall’altro lato, la rabbia dei cittadini, che il M5S è riuscito ad intercettare con internet e il blog. Casaleggio ha reso possibile questo fenomeno con la pretesa di realizzare attraverso la rete una casa di vetro per la politica rinnovata con l’introduzione di una democrazia diretta, dove il parlamentare è ridotto a semplice portavoce dei cittadini. In questo modo il M5S verrebbe a segnare la fine ed il superamento dell’epoca berlusconiana, contrassegnata dalla telecrazia, dove la comunicazione televisiva è unidirezionale, la gente che riceve il messaggio è sostanzialmente passiva e i parlamentari, sganciati dai cittadini, sono considerati pressoché come dipendenti del leader. Ma l’enfatizzazione della democrazia diretta da realizzare attraverso la rete nella concezione di Casaleggio è riconducibile ad un modello goacobino-rousseauiano-leninista radicalmente opposto a quello pannelliano-liberalsocialista annunciato, ormai quarant’anni fa, da Roberto Guiducci (lui sì fu veramente visionario) in un libro, che oggi andrebbe riletto, intitolato La società dei socialisti (Rizzoli, 1976). Nella democrazia auspicata da Casaleggio, infatti, prevale la logica totalitaria, dove alla volontà generale, non è ammissibile il diritto di resistenza, con tutte le conseguenze, spesso anche tragiche come la storia ci insegna, che ne derivano. E dunque ben si taglia l’appellativo di “tecno Robespierre” a Casaleggio, che, non casualmente, ha voluto battezzare il suo sistema operativo “Rousseau”. Quella che apparentemente sembrerebbe essere il massimo allargamento della democrazia risulta in realtà un nuovo totalitarismo. Il tema meriterebbe un approfondimento. In questa sede è sufficiente sottolineare che la teoria di Casaleggio e l’esperienza del M5S, si inseriscono in modo originale nel processo in atto di restrizione degli spazi di democrazia, riscontrabile con diverse connotazioni in tutto il mondo.
Pier Ernesto Irmici